Ma cos'è l'Arte? Uno spunto di riflessione |
“Forse a volte una pianta sogna di volare” Le piante hanno un’anima …!? di Vittorio Dublino Un'interfaccia bioelettronica permette ad una pianta di "controllare" una body extension che le permette di volare. L'interfaccia misura l'attività elettrica della pianta e usa i dati per guidare il volo. La pianta, così, diventa un “sensore” dell’ambiente che lo circonda ed “attore” di una performance artistica, creando un sistema aperto in cui i visitatori e l'ambiente partecipano attivamente nell'influenzare il movimento che osservano. Questa è l’installazione artistica "The Dream of Flying" della ricercatrice ed artista Chiara Esposito, presentato per la prima volta a ARS ELECTRONICA 2013; un esperimento di comunicazione tra una pianta e un drone: un lavoro in forma di performance e di installazione, risultato della ricerca nell'ambito del rapporto tra Arte e Scienza nell'Interattività. L’opera di Chiara Esposito nasce all’interno dell”Interface Culture Lab: uno spazio di ricerca multidisciplinare nato all'interno dell'Università d'Arte e Design di Linz. Fondato nel 2004 da Christa Sommerer e Laurent Mignonneau, due artisti internazionalmente riconosciuti quali pioneri dell'arte interattiva, coadiuvati da Martin Kaltenbrunner (cofondatore del sistema Reactable) dirigono questo spazio dedicato alla ricerca nell'intersezione tra arte e tecnologia, con una particolare attenzione agli sviluppi del concetto di interattività nelle sue svariate forme. | “Maybe sometimes a plant dreams of flying” Do plants have a soul ... !? by Vittorio Dublino A bioelectronic interface allows a plant to “control” a body extension which grants the possibility of flying. In this way, the questioned plant becomes a “sensor” of the environment which surrounds it, and “actor” af an artistic performance, creating an opened system in which visitors and environment actively participate in the act of influencing the observed movement. This is the artistic installation called “The Dream of Flying”, by the artist/researcher Chiara Esposito, introduced for the first time during ARS ELECTRONICA 2013; a communication experiment between a plant and a drone: a work presented as a performance and installation, result of the research in the field of the relationship between Arts and Science in Interactivity. Chiara Esposito’s work was born inside the Culture Lab Interface: a multidisciplinary research space born in Linz’s University of Arts and Design. Founded in 2004 by Christa Sommerer and Laurent Mignonneau, two internationally famous artists known as pioneers of interactive arts, assisted by Martin Kaltenbrunner (co-founder of the Reactable System), direct this space which is dedicated to the research of the intersection that happens between arts and technology, particularly focused on the development of the concept of interactivity in its different forms. |
ARTS AS NEURO-COGNITIVE EXPERIENCE
a cura di Vittorio Dublino
a cura di Vittorio Dublino
Nel 2010 a Bruxelles alla Royal Flemish Academy of Belgium for Science and the Arts , si è tenuta una importante conferenza sul tema “Arte e Percezione”. Nel corso della conferenza è emerso che la chiave di successo per lo studio della percezione dell'arte e dell'estetica sta nell’approccio interdisciplinare e nel confronto aperto per la discussione dei diversi punti di vista che intercorrono tra artisti e scienziati, tra gli studiosi di diverse discipline ( i.e. psicologia e storia dell'arte), nella definizione degli approcci alla ricerca (teorico, fenomenologico, empirico) ed in quale campo scientifico in particolare (psico-fisico, neuroscienze, ecc.). Lo scienziato Son Preminger, afferma in suo articolo, “la convinzione generale che si sta facendo strada è che l’Arte è un medium che induce esperienze. Le esperienze artistiche sono un veicolo per trasmettere significati, un modo per offrire motivo di benessere o mezzi di auto-espressione e di comunicazione.” “Ogni opera d'arte induce un’esperienza mentale nell'osservatore, nel partecipante o nello sperimentatore. È’ stato dimostrato che contemplare un'opera d'arte innesca processi percettivi: le arti plastiche innescano processi visivi di basso livello come l'orientamento e il rilevamento dei bordi, così come i processi di livello superiore, come ad esempio il riconoscimento di oggetti e la sua separazione dallo sfondo. Un'esperienza artistica coinvolgerebbe processi cognitivi aggiuntivi come le funzioni esecutive, la memoria, l'emozione, e altri processi cognitivi di alto livello. L'impegno di funzioni esecutive come la memoria di lavoro e l’attenzione, sono le basi di molte esperienze artistiche. Processi intrinseci come la memoria autobiografica, le emozioni e la Teorie sulla Mente possono essere guidati da elementi percettivi e dotare di significati e fornire l'essenza concettuale do un’opera d'arte. Quali combinazioni specifiche di funzioni cognitive siano impegnate dall’osservazione di un’opera d'arte dipendono dalla forma d'arte, dalla particolarità dell’Opera e dall’Esperienza dell'Osservatore. Ad esempio, le forme d'arte classiche come le arti plastiche, la musica e i film, guidano verso la sola esperienza mentale di tipo artistico; mentre le arti interattive, come ad esempio le installazioni interattive o i videogiochi coinvolgono anche le funzioni motorie (cinestesiche) e di controllo comportamentale come parte dell'esperienza indotta. A livello neurobiologico, le esperienze mentali si manifestano con l’attivazione delle corrispondenti reti neurali le cortecce visive e uditive, le reti dell’attenzione e della memoria, le regioni del cervello emotivo, le regioni frontali del cervello, in combinazione tra loro.” “È emerso come gli utenti possano percepire l’arte e l’estetica da un punto di vista psicologico e neuropsicologico e come questa visione possa cambiare lo stesso concetto di arte. Scopo di questa interazione eterogenea è quello di sviluppare abilità critiche, nuove e trasversali, e autogestione didattica, includendo livelli comunicativi virtuali modulati dalla semplice attività cerebrale e dall’attivazione attenzionale del soggetto, potenziando inoltre i livelli di motivazione dell’utente. Questo costrutto si fonda sulle teorie della Embodied Cognition, legata a recenti ricerche nel campo delle scienze cognitive, dei sistemi dinamici, dell’intelligenza artificiale, della robotica e della neurobiologia. Per la embodied cognition l’apprendimento multipercettivo permette di valutare come il sistema motorio e percettivo influenzi la cognizione e potenzi capacità e connettività cerebrali: il corpo modula i processi di apprendimento e aumenta le capacità attenzionali e motivazionali. In un classico contesto di didattica museale il corpo è parzialmente inattivo perché l’utente deve ‘vedere’ senza avere la possibilità di visionare fisicamente lo stimolo. I livelli che vengono attivati in un visitatore museale, in situazioni di elevata ‘competence’ dell’oggetto percepito, sono livelli simbolici e affettivi. In situazioni di elevata competenza artistica, si può presentare, davanti alla visione dello stimolo reale, oggetto di osservazione, uno scompenso affettivo ed emozionale, dovuto alla semplice interazione visiva con l’oggetto. Si tratta, in questo caso, di far parte di un ‘insieme’ gestaltiano5 di relazione con una sorta di oggetto transizionale immaginato di cui, in una situazione museale o legata ai beni culturali, si può avere un’esperienza diretta. Questa sindrome è chiamata Sindrome di Stendhal o sindrome da “hyperkulturemia”. Sintomi simili possono essere elicitati da esperienze culturali estreme, specialmente se vissuti a lungo e rappresentati da esperienze significative per il soggetto, anche a livello religioso, ad esempio nella Jerusalem syndrome che si presenta in siti storici o religiosi”. | In 2010, in the Royal Flemish Academy of Belgium for Science and Arts, Bruxelles, a very important conference on the theme “Arts and Perception” was held. During the conference, the concept that the key to success in the study of perception of arts and aesthetics can be found in the cross-disciplinary approach and in the open confrontation for the discussion of the different points of view among artists and scientists, among the professionals of the various disciplines (e.g. psychology and art history), in the definition of the approaches to research (theoretical, phenomenological, empirical) and in which specific scientific field (psychophysical, neurosciences, etc.) emerged. The scientist Son Preminger states in his article: “the general belief which is gaining its way is that in Arts it is a medium which induces experiences. Artistic experiences are a vehicle to transmit meaning, a way to offer wellness and means of self-expression and communication”. “Each artwork induces a mental experience in the observer, in the participant or in the experimenter. It has been demonstrated that the contemplation of an artwork triggers perceptive processes: plastic arts generate low-level visual processes as orientation and the bearing of borders and corners, and also superior level processes, for example the recognition of objects and their separation from the background. An artistic experience would involve additional cognitive processes such as the executive functions, memory, emotions, and other high end cognitive processes. The usage of executive functions such as work memory and attention are the bases of many artistic experiences. Intrinsic processes such as autobiographical memory, emotions and the Theories of Mind can be driven by perceptive elements and supply meaning and conceptual essence to an artwork. The specific combinations of cognitive functions to use in the observation of artworks depend on the form of art itself, from the peculiarities of the piece and from the experience of the observer. For example, the classical art forms such as plastic arts, music and movies, drive towards the unique artistic mental experience; while interactive arts, such as interactive installations or video games, also involve moving (kinesthetic) and behavioral functions as part of the induced experience. Neurobiologically, mental experiences are shown through the activation of the matching neural networks and visual/auditory cortices, the networks of attention and memory, the cerebral regions of emotion, the frontal regions of the brain, combinating mutually” “We have seen how the users can percept arts and aesthetics from a psychological and neural point of view and how this vision can change the concept of arts itself. The aim of the heterogeneous interaction is to develop new and crosswise critical abilities, and didactic self-management, including virtual communicational levels modulated by the simple cerebral activity and the attention triggering of the subject, also enhancing the levels of motivation of the user. This construct is based on the theories of the Embodied Cognition, connected to the recent researches in the field of cognitive sciences, of dynamic systems, of AIs, of robotics and neurobiology. For the embodied cognition, multi perceptive learning allows to estimate how the motor and perceptive system influences the cognition and enhances mental capacities and connectivity: the body modulates the learning processes and enlarges the attention and motivational capacities. In a traditional context of museum didactics, the body is partially inactive because the user has to “see” without having the possibility of trying physically the stimula. The levels which are activated in a museum visitor, in situations of high end “competence” of the perceived object, are symbolic and affective. In situations of high artistic knowledge, we can see, in front of the real stimulation, an affective and emotional decompensation, caused by the simple visual interaction. In this case, it comes to being part of a relational gestalt ‘ensemble’ with a sort of transition object of which, in a museum (or cultural heritage) situation, there can be a direct experience. This syndrome is called Stendhal Syndrome of ‘hyperkulturemia” syndrome. Similar symptoms can be elicited by extreme cultural experiences, especially if lived over a long period of time and represented by significant experiences for the subject, even on a religious base, for example the Jerusalem Syndrome which can be observed in historical or religious sites”. |
References:
CREATIVE TECHNOLOGIES, CYBERPSYCHOLOGY & WELLNESS
a cura di Vittorio Dublino
a cura di Vittorio Dublino
<<Future programmers can keep developing PCs which ignore emotions, or can take on the risk of creating machines which recognize emotions, express them, and maybe try them, at least in the ways in which emotions can help in the intelligent interaction and in decision making processes>>
[Picard, 2003]
Negli ultimi anni si cerca di indagare e comprendere il funzionamento del Sistema Uomo con un approccio olistico che ha generato la definizione del modello Bio-Psico-Sociale in sostituzione del vecchio modello riduzionista, cosiddetto Biomedico. In questo nuovo paradigma si inserisce la ricerca applicata vocata alla prevenzione e/o il trattamento di alcune patologie dovute agli stati di ansia e di stress come anche tese a contrastare alcune forme di fobie fino ad arrivare alla sperimentazione di tecniche e tecnologie tese a contrastare il Declino Cognitivo negli anziani, rallentare gli effetti dell’Alzheimer oppure contribuire ad agevolare i processi che regolano l’attenzione e l’autostima negli individui affetti da Autismo. La ricerca sulle tecnologie per sostenere la salute mentale e il benessere emotivo sta assumendo sempre maggiore interesse allo scopo di definire metodologie efficaci ed efficienti per il designing di piattaforme tecnologiche per la salute mentale (Mental Health and Emotional Well-Being) in grado di influire sulle funzioni cognitive tra cui la memoria umana e la reminiscenza, la social connectedness, i processi comportamentali, i sistemi di riflessione e la manipolazione emotiva. All’ultimo congresso “Cyber 18 – Where Healthcare & Technology connect” , le tematiche trattate per quanto concerne le attuali applicazioni in CyberPsichology. Una in particolare rientra nella nostra sfera d’interesse: la prevenzione ed il trattamento dell’Ansia. Le cause dei disturbi dovuti all’Ansia (*) sono i più disparati. Molte persone provano sentimenti di ansia prima di un evento importante: come un esame importante, una presentazione aziendale o un primo appuntamento. I disturbi dovuti all’Ansia sono malattie che affliggono la vita delle persone con sintomi d’oppressione e di paura con manifestazioni che da acute possono diventare croniche, incessanti, potendo crescere progressivamente, peggiorando. Tormentati da attacchi di panico, pensieri ossessivi, flashback di eventi traumatici, incubi, o innumerevoli sintomi fisici spaventose, alcune persone con disturbi d'ansia diventano addirittura costretti a casa. La Scienza sta arrivando a dimostrare l’efficacia dell’uso delle Tecnologie Emotive nel trattamento di questi disturbi alleviandone i sintomi, attraverso l’induzione di stati emozionali positivi. [1] [2] [*] Solo negli Stati Uniti sono stimati circa 19 milioni di individui adulti affetti da disturbi generati da Sindrome da Ansia ogni anno. Anche bambini ed adolescenti possono soffrire di questi disturbi generali dovuti all’ Ansia, tra cui sono incluse: forme di Fobia, Panico, Disordini Compulsivi Ossessivi, Stress post-traumatico. | In the latest years, we’ve been trying to investigate and comprehend the functioning of the Human System with an holistic approach which generated the definition of the BioPsychoSocial model, as a substitute of the old reductionist model, called Biomedical. In this new paradigm we see the insertion of applied researched focused on the prevention and/or the treatment of some diseases caused by anxiety states and stress, and aimed at contrasting some forms of phobias up to the experimenting of some techniques and technologies focused on the contrast of the Cognitive Decline of elders, slowing the effect of Alzheimer or contributing in easing the processes which regulate attention and self confidence in individuals with autism. The research of technologies for the support of mental health and the emotional wellness is assuming more and more interest so to define effective and efficient methods for the mental health technologic platform design (Mental Health and Emotional Wellness), capable of influencing cognitive functions amongst which human memory and reminiscence, social connectedness, behavioral processes, systems of reflection and emotional manipulation. During the last “Cyber18 - Where Healthcare & Technology Connect” conference, the topics for what concerns today’s applications in CyberPsychology, one in particular caught our attention for its presence in our sphere of interest: prevention and treatment of anxiety. The causes of the disorder descending from anxiety are the most disparate. Many people feel anxiety before an important event: an exam, a company’s presentation or a date. Disorders due to anxiety are diseases which affect people’s lives with oppression and fear symptoms, and with manifestations which can increase from acute to chronic, unceasing and continuously growing, worsening. Tormented by panic attacks, obsessive thoughts, trauma flashbacks, nightmares or countless physical symptoms, some people suffering from anxiety disorders my even become housebound. Science is reaching the point of demonstrating the efficacy of its Emotive Technology usage in the treatment of the aforesaid disorders, alleviating symptoms, through the induction of positive emotional states. |
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References:
Cognitive Sciences
EMOTIVE TECHNOLOGIES
di Vittorio Dublino
EMOTIVE TECHNOLOGIES
di Vittorio Dublino
Possono i nuovi media, le tecnologie creative digitali essere impiegate per supportare nuove forme di esperienze emozionali? La ricerca scientifica ci apre prospettive e visioni futuristiche sorprendenti. Come suggerisce Brenda K. Wiederhold [1], le ricerche in questo nuovo campo delle Neuroscienze e della Psicologia Cognitiva chiamata “CyberPsichology” dimostrano sperimentalmente che le tecnologie digitali e i nuovi media hanno in effetti un grande potenziale quali strumenti di “Induzione emotiva” aprendo la possibilità “di una diffusione planetaria di tecnologie emotive in grado di migliorare la Qualità della Vita” [3]. La ricerca scientifica ha dimostrato che, nel perseguimento di un buono stato psicofisico (condizione tra l’altro determinante nel rendere un individuo socialmente attivo nello stabilire buone relazioni con gli altri individui) lo stress e le emozioni sono fattori critici che prendono un ruolo determinante nel raggiungimento di una condizione di buona o scarsa Qualità di Vita. Il ruolo delle emozioni e il controllo dello stress, quindi, negli ultimi anni stanno assumendo sempre più importanza nella ricerca scientifica applicata alla comprensione e alla definizione dei meccanismi neurofisiologici, biochimici e psichici in grado di influenzare positivamente o negativamente lo stato di salute generale dell’Individuo. “Una delle teorie dominanti che cerca di spiegare i meccanismi per cui le emozioni positive sono importanti per la sopravvivenza è la Broadenand- Build Theory of Positive Emotions (Fredrickson, 1998; 2001). La flessibilità cognitiva, evidente durante gli stati emozionali positivi, risulta nella creazione di risorse che diventano utili in ogni momento. Anche se uno stato emozionale positivo è solo momentaneo, i benefici durano e hanno un impatto sulle dimensioni di tratto, sui legami sociali e sulle abilità che resistono nel futuro (Fredrickson, 2009).” [3] Un sempre maggiore interesse da parte della scienza che si occupa di questi problemi si sta rivolgendo verso lo studio dell’influenza delle “Emozioni positive” nei processi di regolazione dello stress. In campo medico i risultati di numerose ricerche svolte sembrano confermare come il “buon umore” [4] possa influire sullo stato generale del paziente e favorire l’organismo nella guarigione da una patologia, non solo contribuire a mantenerlo sano. Recenti studi in Neurofisiologia chimica hanno dimostrato, infatti, che alcune parti del Cervello, come il Locus Coeruleus [5], opportunamente stimolate da fattori ambientali esterni “positivi” per la sfera psichica dell’Uomo (come ad esempio fattori agenti che provochino la “risata”) siano in condizione di contrastare gli stati depressivi enfatizzando il rilascio di particolari sostanze chimiche a scapito di altre . Le discipline medico-scientifiche che studiano questi fenomeni sono la PsicoNeuroImmunologia[6] e la NeuroPsicoEndocrinologia che si occupano di definire le interazioni circolari che intercorrono tra la chimica dell’organismo umano e le neuroscienze in funzione degli stati emotivi dell’Uomo. Queste aree di ricerca stanno indagando sulla concreta possibilità che le “Emozioni negative” abbiano effetti immuno-depressivi, mentre, al contrario, le “Emozioni positive” risultino avere effetti benefici sull’intero stato generale di salute psico-fisica degli individui contribuendo a mantenere un sistema immunitario efficiente. Sono state messe a punto diverse tecniche di controllo delle emozioni in grado di regolare lo stress negativo (distress). Ovviamente, nello sviluppo della nostra ricerca di base applicata allo sviluppo del nostro progetto, il nostro interesse si focalizza su quelle tecniche che rientrano nell’area cognitivo-comportamentale. In particolare, raccordandoci a quanto già trattato più sopra, ci soffermiamo sulle cosiddette Tecniche di visualizzazione: che si basano sulla concezione multidimensionale dell’Intelligenza umana che definisce l’esistenza di diverse “Intelligenze specializzate” [7]. L’intelligenza visiva, definita da Ian Robertson [8] è una di quelle abilità cognitive correlata alla capacità di Immaginazione, più o meno sviluppata in ogni Individuo. Le esperienze, quindi, possono essere “immaginate” , raggruppandole in tre categorie: quelle relative alle “Percezioni sensoriali” (indotte da uno o più dei 5 sensi); quelle connesse con le capacità “Propriocettive” e le “Cinestesiche”. L’intelligenza visiva può essere potenziata (in particolare lungo le fasi dello sviluppo) e mantenuta attraverso un allenamento indotto da stimoli adeguati tra cui si evidenziano quelli che afferiscono alle arti visive, la musica e lo sport. I recenti studi che si sono attivati dopo la scoperta dei “Neuroni Specchio” ci stanno offrendo l’opportunità di progettare e sperimentare opportune tecniche tese al perseguimento di questi scopi, è stato dimostrato che tali tecniche di visualizzazione possono aiutare a contrastare esperienze ed emozioni negative (quindi causa di “distress”) fornendo all’individuo il vissuto di esperienze positive. | Scientific research opens surprising perspectives and future visions. As suggested by Brenda K. Wiederhold , the researches in this new field of Neurosciences and Cognitive Psychology called “CyberPsychology” demonstrate, experimentally, that the digital technologies and new media have perhaps a great potential as instruments of “Emotional Induction” , opening the possibility “of a planetary diffusion of emotional technologies capable of improving the Quality of Life” . Scientific research has demonstrated that, in the pursue of a good psychophysical condition (determining factor in making an individual socially active in the creation of good relationships with other individuals) stress and emotions are critical factors, which play a leading role in reaching a good or bad Quality of Life. The role of emotions and stress control, in the latest years, is gaining more and more importance in the scientific research applied to comprehension and definition of neurophysiological, biochemical and psychic mechanisms capable of influencing positively or negatively the state of general health of an individual. More and more interest by the portion of the scientific community which works in this field is being put in the study of the influence of “Positive Emotions” in the processes of stress regulation. As theorized by Prof. Pressman and Cohen , “Positive emotions can play a protective role towards physical and mental health" . One of the dominating theories which tries to explain the mechanisms for which "Positive emotions" are important for survival, is the "Broadenand-Build Theory of Positive Emotions" developed by Prof. Barbara Friedrickson; she assume that "Cognitive flexibility", clear to see during the positive emotional states, results in the creation of resources which become useful every moment. Even if a positive emotional state is only momentaneous, the benefits last long and have an impact also on the dimensions of stretch, on social connections and on the abilities which resist in the future” . In the medical field, the result of many researches seem to confirm how “good mood” can affect on the general state of the patient and support the healing of an organism after a disease, not only contributing in keeping it healthy. Recent studies in "Chemical Neurophysiology" have demonstrated, in fact, that some parts of the Brain, as the Locus Coeruleus , if appropriately stimulated by “positive” external environment factors for the psychic sphere of Men (as for example factors which provoke laughter) are capable of contrasting depressive states, emphasizing the release of particular chemical substances over others. Medical disciplines which study these phenomena are "PsychoNeuroImmunology" and the "NeuroPsychoEndocrinology" which deal with the circular interactions which come between the chemistry of an human organism and neurosciences, in function of the emotional state of Men. These areas of research are investigating for the actual possibility that the “Negative Emotions” have immunosuppressive effects, while, on the contrary, the “Positive emotions” have benefic effects on the whole state of psychophysical health of individuals, contributing to keep and efficient immunity system. Different techniques of emotion control have been developed, capable of regulating negative stress (distress). Obviously, in the development of base research applied to the development of Emotional Technologies , the interest is focused on those techniques which fall in the cognitive-behavioral area. Particularly, they focus on the so-called "Visualization Techniques": the ones based on the multidimensional conception of the Human Intelligence which defines the intelligence which defines the existence of different “Specialized Intelligences” . The visual intelligence, defined by Ian Robertson is one of those cognitive abilities connected to the capacity of Imagination, more or less developed in an individual. Experiences, so, can be “imagined”, and grouped in three main categories: the ones related to “sensory perceptions” (induced by one or more of the 5 senses); the ones connected to the “proprioceptive” and “kinesthetic”. Visual intelligence can be enhanced (in particular during the stages of development) and kept through a training induced by adequate stimuli amongst which we highlight the ones related to visual arts, music and sports. Recent studies, activated after the discovery of “Mirror Neurons” have offered the possibility of planning and experimenting the right techniques aimed to the pursue of the aforesaid aims, it has been demonstrated that those techniques of visualization can help contrasting negative experiences and emotions (which cause, so, “distress”) supplying the individual the experience of positive background. |
[1] Wiederhold B.K. : Direttore Virtual Reality Medical Institute, Belgio
[2] L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la Qualità della vita come uno stato multidimensionale dell’Individuo in cui il Benessere viene raggiunto non solo per l’assenza di malattie, piuttosto attraverso il perseguimento di un complessivo stato soggettivo di buona salute fisica, buono stato psicologico e buone relazioni sociali.
[3] Villani D., Grassi A. & Riva G. (2011), Tecnologie Emotive, Edizioni Universitarie LED.
[4] come riscontrato dagli esiti della ricerca empirica sulla “terapia del sorriso”.
[5] Un nucleo situato nel Tronco encefalico tra il Mesencefalo e ponte di Varolio. E’ stato osservato che questa parte del Cervello si attiva in modo particolare prima di ogni guarigione. Questo centro viene inattivato da stimoli monotoni e viene attivato da stimoli insoliti. È dimostrato che la stimolazione del Locus Caeuleus inneschi nell’organismo reazioni antidepressive. Locus coeruleus rilascia noradrenalina quando una serie di cambiamenti fisiologici sono attivati da un evento. La noradrenalina dal Locus coeruleus ha un effetto eccitatorio sulla maggior parte del cervello, attivando l'eccitazione e l'innesco dei neuroni. Le connessioni nervose di questo nucleo raggiungono il midollo spinale, il tronco cerebrale ,il cervelletto, l'ipotalamo, i nuclei relay del talamo, l'amigdala, la base del telencefalo, e la corteccia cerebrale. Attraverso le connessioni con la corteccia frontale e la corteccia temporale, il talamo e l'ipotalamo il Locus Coeruleus è coinvolto nella regolazione dell'attenzione, ciclo sonno-veglia, nell'apprendimento e nella percezione del dolore, nella genesi dell'ansia e nella regolazione dell'umore. Sono stati osservati altissimi addensamenti di Recettori oppioidi nel locus coeruleus, ed è stato studiato come sostanze psichedeliche ne potenzino l'eccitazione. Le sostanze allucinogene non fanno comunque eccitare spontaneamente i neuroni del locus coeruleus in assenza di stimoli sensoriali, per cui si può supporre che esse interagiscano con un insieme differente di neuroni che stabiliscono un contatto diretto con il locus. Poiché il locus coeruleus è un meccanismo a “imbuto” che integra tutti i messaggi sensoriali provenienti dagli organi di senso in un sistema unico di eccitazione generalizzato, la sua alterata eccitazione farà provare sensazioni che travalicano i confini delle differenti modalità percettive caratterizzando il fenomeno cosiddetto: Sinestesia.
[6] PNI: PsicoNeuroImmunologia. What is PsychoNeuroImmunology? It is the interaction between psychological process, nervous system and immune system, the interaction can occur 2 directions: psychology can affect immune system and immune system can affect psychology too; it is the interaction between body, brain and environment and the interaction between immune molecules, neuroendocrine and neurochemistry. “Research has indicated that an inextricable chemical link exists between our emotions, which includes all stress in our lives, both good and bad, and the regulatory systems of the endocrine and immune systems through the central nervous system. This research emphasises the importance of expressing our emotions both verbally and physically in an appropriate way. When strong emotions generate fear, anger or rage and these are not expressed in a healthy way then the body's natural response is that of the sympathetic nervous system as demonstrated in Cannon's research on homeostasis and the fight or flight syndrome. At this point, inappropriate storing of these stressful emotions produces an excess of epinephrine. This excess of epinephrine causes a chemical breakdown, resulting in internal weakening of the immune system and an increased potential for disease. “Negative emotions can intensify a variety of health threats. Research provide a broad framework relating negative emotions to a range of diseases whose onset and course may be influenced by the immune system; inflammation has been linked to a spectrum of conditions associated with aging, including cardiovascular disease, osteoporosis, arthritis, type 2 diabetes, certain cancers, Alzheimer's disease, frailty and functional decline, and periodontal disease. Production of proinflammatory cytokines that influence these and other conditions can be directly stimulated by negative emotions and stressful experiences. Additionally, negative emotions also contribute to prolonged infection and delayed wound healing, processes that fuel sustained proinflammatory cytokine production. Accordingly, “we argue [Kiecolt-Glaser J.K., McGuire L., Robles T.F., Glaser R. (2002) in “Emotions, morbidity, and mortality: new perspectives from psychoneuroimmunology”] that distress-related immune dysregulation may be one core mechanism behind a large and diverse set of health risks associated with negative emotions. Resources such as close personal relationships that diminish negative emotions enhance health in part through their positive impact on immune and endocrine regulation. It is reviewed [Guidi L., Tricerri A., Frasca D., Vangeli M., Errani A.R., Bartoloni C. (1998) in “Psychoneuroimmunology and aging”.] “the relationships between psychological stress and depression and immunological functions, with particular regard to those aspects pertinent to the aging process. The clinical relevance of these interactions remains to be elucidated, but the high frequency in the aged of autoimmune, infectious, and neoplastic diseases suggests to focus on the psychoneuroimmune interactions in the old age.” PNI, A scientific discipline which sees the human organism as a "whole", a network of connected processes, and not an ensemble of separated parts. Body and soul, an unique ensemble which can be influenced by the individual psychic identity and from the surrounding social, natural and cultural environments, activating biochemical processes which regulate the function of the organism, giving a state of comfort or discomfort. Inter alia, it has the merit of integrating a coherent vision with all of the latest scientific discoveries in the medical field. It is a continously and quickly evolving science, which discorvers more and more therapeutic tools. It is presenting, to the scientific community, incredible discoveries up to the possibility of motivating (for the agnostic) "miraculous healing". And behind these, which can appear as strangeness, we see the birth of more and more effective therapies, which are more and more often "natural". The PNI deals with a wide range view, it aims to analyze those phenomena, integrating the details of wider overview. Not only in the relations among system, cells and elctric and chemical messages, but also in the interactions between and the environment, It studies the healthy organism before it gets the disease, because the aim is to restore health.
[7]
[8]
[2] L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la Qualità della vita come uno stato multidimensionale dell’Individuo in cui il Benessere viene raggiunto non solo per l’assenza di malattie, piuttosto attraverso il perseguimento di un complessivo stato soggettivo di buona salute fisica, buono stato psicologico e buone relazioni sociali.
[3] Villani D., Grassi A. & Riva G. (2011), Tecnologie Emotive, Edizioni Universitarie LED.
[4] come riscontrato dagli esiti della ricerca empirica sulla “terapia del sorriso”.
[5] Un nucleo situato nel Tronco encefalico tra il Mesencefalo e ponte di Varolio. E’ stato osservato che questa parte del Cervello si attiva in modo particolare prima di ogni guarigione. Questo centro viene inattivato da stimoli monotoni e viene attivato da stimoli insoliti. È dimostrato che la stimolazione del Locus Caeuleus inneschi nell’organismo reazioni antidepressive. Locus coeruleus rilascia noradrenalina quando una serie di cambiamenti fisiologici sono attivati da un evento. La noradrenalina dal Locus coeruleus ha un effetto eccitatorio sulla maggior parte del cervello, attivando l'eccitazione e l'innesco dei neuroni. Le connessioni nervose di questo nucleo raggiungono il midollo spinale, il tronco cerebrale ,il cervelletto, l'ipotalamo, i nuclei relay del talamo, l'amigdala, la base del telencefalo, e la corteccia cerebrale. Attraverso le connessioni con la corteccia frontale e la corteccia temporale, il talamo e l'ipotalamo il Locus Coeruleus è coinvolto nella regolazione dell'attenzione, ciclo sonno-veglia, nell'apprendimento e nella percezione del dolore, nella genesi dell'ansia e nella regolazione dell'umore. Sono stati osservati altissimi addensamenti di Recettori oppioidi nel locus coeruleus, ed è stato studiato come sostanze psichedeliche ne potenzino l'eccitazione. Le sostanze allucinogene non fanno comunque eccitare spontaneamente i neuroni del locus coeruleus in assenza di stimoli sensoriali, per cui si può supporre che esse interagiscano con un insieme differente di neuroni che stabiliscono un contatto diretto con il locus. Poiché il locus coeruleus è un meccanismo a “imbuto” che integra tutti i messaggi sensoriali provenienti dagli organi di senso in un sistema unico di eccitazione generalizzato, la sua alterata eccitazione farà provare sensazioni che travalicano i confini delle differenti modalità percettive caratterizzando il fenomeno cosiddetto: Sinestesia.
[6] PNI: PsicoNeuroImmunologia. What is PsychoNeuroImmunology? It is the interaction between psychological process, nervous system and immune system, the interaction can occur 2 directions: psychology can affect immune system and immune system can affect psychology too; it is the interaction between body, brain and environment and the interaction between immune molecules, neuroendocrine and neurochemistry. “Research has indicated that an inextricable chemical link exists between our emotions, which includes all stress in our lives, both good and bad, and the regulatory systems of the endocrine and immune systems through the central nervous system. This research emphasises the importance of expressing our emotions both verbally and physically in an appropriate way. When strong emotions generate fear, anger or rage and these are not expressed in a healthy way then the body's natural response is that of the sympathetic nervous system as demonstrated in Cannon's research on homeostasis and the fight or flight syndrome. At this point, inappropriate storing of these stressful emotions produces an excess of epinephrine. This excess of epinephrine causes a chemical breakdown, resulting in internal weakening of the immune system and an increased potential for disease. “Negative emotions can intensify a variety of health threats. Research provide a broad framework relating negative emotions to a range of diseases whose onset and course may be influenced by the immune system; inflammation has been linked to a spectrum of conditions associated with aging, including cardiovascular disease, osteoporosis, arthritis, type 2 diabetes, certain cancers, Alzheimer's disease, frailty and functional decline, and periodontal disease. Production of proinflammatory cytokines that influence these and other conditions can be directly stimulated by negative emotions and stressful experiences. Additionally, negative emotions also contribute to prolonged infection and delayed wound healing, processes that fuel sustained proinflammatory cytokine production. Accordingly, “we argue [Kiecolt-Glaser J.K., McGuire L., Robles T.F., Glaser R. (2002) in “Emotions, morbidity, and mortality: new perspectives from psychoneuroimmunology”] that distress-related immune dysregulation may be one core mechanism behind a large and diverse set of health risks associated with negative emotions. Resources such as close personal relationships that diminish negative emotions enhance health in part through their positive impact on immune and endocrine regulation. It is reviewed [Guidi L., Tricerri A., Frasca D., Vangeli M., Errani A.R., Bartoloni C. (1998) in “Psychoneuroimmunology and aging”.] “the relationships between psychological stress and depression and immunological functions, with particular regard to those aspects pertinent to the aging process. The clinical relevance of these interactions remains to be elucidated, but the high frequency in the aged of autoimmune, infectious, and neoplastic diseases suggests to focus on the psychoneuroimmune interactions in the old age.” PNI, A scientific discipline which sees the human organism as a "whole", a network of connected processes, and not an ensemble of separated parts. Body and soul, an unique ensemble which can be influenced by the individual psychic identity and from the surrounding social, natural and cultural environments, activating biochemical processes which regulate the function of the organism, giving a state of comfort or discomfort. Inter alia, it has the merit of integrating a coherent vision with all of the latest scientific discoveries in the medical field. It is a continously and quickly evolving science, which discorvers more and more therapeutic tools. It is presenting, to the scientific community, incredible discoveries up to the possibility of motivating (for the agnostic) "miraculous healing". And behind these, which can appear as strangeness, we see the birth of more and more effective therapies, which are more and more often "natural". The PNI deals with a wide range view, it aims to analyze those phenomena, integrating the details of wider overview. Not only in the relations among system, cells and elctric and chemical messages, but also in the interactions between and the environment, It studies the healthy organism before it gets the disease, because the aim is to restore health.
[7]
[8]
Reference:
- Fredrickson B. L. (2001), The Role of Positive Emotion in Positive Psycology , The Broaden-and-Build-Theory of Positive Emotions; University of Michigan
- Fredrickson B. L. (2002), How Does Religion Benefit Health and Well-Being? Are Positive Emotions Active Ingredients?; Department of Psychology, University of Michigan
- Fredrickson B. L. (2009), Positivity; Crown Publisher New York
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- Wiederhold B. K. (2011), Preface Toward Emotional Technologies; edizioni LED
Narcissism on Facebook: Self-promotional and anti-social behavior
by Christopher J. Carpenter (*)
Abstract
A survey (N = 292) was conducted that measured self-promoting Facebook behaviors (e.g. posting status updates and photos of oneself, updating profile information) and several anti-social behaviors (e.g. seeking social support more than one provides it, getting angry when people do not comment on one’s status updates, retaliating against negative comments). The grandiose exhibitionism subscale of the narcissistic personality inventory was hypothesized to predict the self-promoting behaviors. The entitlement/exploitativeness subscale was hypothesized to predict the anti-social behaviors. Results were largely consistent with the hypothesis for the self-promoting behaviors but mixed concerning the anti-social behaviors. Trait self-esteem was also related in the opposite manner as the Narcissism scales to some Facebook behaviors.
1. Introduction
Facebook is one of the most popular websites in the world with over 600 million users (Ahmad, 2011). Those who use Facebook enjoy many benefits. Some college students use Facebook to seek and receive social support when they feel upset (Park et al., 2009 and Wright et al., 2007). Toma and Hancock’s (2011) recent experiments found when individuals are feeling distressed, they turn to Facebook to feel better. On the other hand, DeAndrea, Tong, and Walther (2011) argue that although online interaction provides opportunities for positive social interaction, some users abuse the affordances of social networking sites like Facebook to behave in anti-social ways. They argue that researchers need to move past seeking to determine if computer-mediated communication (CMC) has positive or negative effects as a whole but to determine why people use websites like Facebook in ways that promote or harm interpersonal relationships.
This study sought to take a step in that direction by examining one possible predictor of anti-social Facebook use: trait narcissism. The narcissistic personality type will first be briefly explicated. Then the existing research on the relationship between narcissism and Facebook use will be explored to develop hypotheses.
Investigating the relationship between narcissism and Facebook behavior is important because Facebook is becoming an increasingly important part of people’s lives. Several researchers have found a relationship between narcissism and frequency of using Facebook (Buffardi and Campbell, 2008, Mehdizadeh, 2010 and Ong et al., 2011). Other researchers found that narcissism is associated with the number of friends their participants have on Facebook (Bergman, Fearrington, Davenport, & Bergman, 2011). If these findings are accurate, it suggests that when people are interacting with others on Facebook, they are more likely to be interacting with individuals who are high in trait narcissism than in other contexts. If Facebook users are likely to be engaging in negative behaviors, the quality of the interpersonal interactions people experience on Facebook will be reduced. Furthermore, some research suggests that people are evaluated not just by their own profiles but by the comments others make on their profiles (Walther, Van Der Heide, Kim, Westerman, & Tong, 2008). The negative behavior of narcissists on Facebook may reflect poorly on the innocent friends of those narcissists. If the relationship between narcissism and various kinds of behaviors can be uncovered, perhaps interventions can be designed to improve the Facebook social skills of trait narcissists.
2. Narcissism
When they developed the narcissistic personality inventory (NPI), Raskin and Terry (1988) found a great deal of ambiguity in the personality literature concerning the primary aspects of narcissism. They therefore included a variety of heterogeneous traits in their conceptualization of narcissism. These included aspects such as “a grandiose sense of self-importance or uniqueness”, “an inability to tolerate criticism”, and “entitlement or the expectation of special favors without assuming reciprocal responsibilities” (p. 891).
This definition covers a constellation of concepts and the NPI sought to measure all of them as aspects of a single personality trait.
In contrast, Ackerman et al. (2011) argue that the NPI is really measuring three different traits. They claim that one of the aspects of narcissism measured by the NPI is leadership ability and that aspect is often associated with positive interpersonal outcomes. The leadership aspects of narcissism were not the focus of this investigation as they are associated with pro-social behavior. On the other hand, they argue that the NPI also includes two other aspects of narcissism that they discovered drive the relationship between narcissism and anti-social behavior. These traits were the focus of this investigation.
Ackerman et al. (2011) labeled the first socially toxic element, “Grandiose Exhibitionism” (GE). This aspect of narcissism includes “self-absorption, vanity, superiority, and exhibitionistic tendencies” (p. 6). People who score high on this aspect of narcissism need to constantly be at the center of attention. They say shocking things and inappropriately self-disclose because they cannot stand to be ignored. They will take any opportunity to promote themselves. Simply gaining the interest and attention of others satisfies them.
Attention is not enough for those who possess the other negative aspect of narcissism labeled, “Entitlement/Exploitativeness” (EE). Ackerman et al. (2011) argue this aspect includes “a sense of deserving respect and a willingness to manipulate and take advantage of others” (p. 6). This tendency goes beyond the need for attention associated with GE as people high in this trait are those who will feel they deserve everything. More importantly, these people do not let the feelings and needs of others impede their goals. Ackerman et al. (2011) found that participants with higher EE scores were increasingly likely to have negative interactions reported by their roommate and their roommate was more likely to be dissatisfied with their relationship.
3. Narcissism and Facebook
Examination of the interpersonal possibilities offered by Facebook as well as the limited extant research suggests several tentative hypotheses about Facebook behaviors and the two aspects of narcissism under investigation. Initially, individuals who are high in GE will want to gain the attention of the widest audience possible (Ackerman et al., 2011). Therefore, they are predicted to have a high friend count given their drive to seek attention from as many people as possible. If they are seeking a wider audience, they are also predicted to accept friend requests from strangers because they would be seeking an audience rather than using Facebook to engage in social interaction with existing friends. They may also attempt to gain the attention of their audience by frequently offering new content. Posting status updates, posting pictures of themselves, and changing their profile are all methods of using Facebook to focus attention on the self. These different aspects of providing content will be labeled self-promotion and as a group they are predicted to be positively associated with GE.
On the other hand, Ackerman et al. (2011) found that EE tended to be associated with anti-social behaviors that indicate that others should cater to the narcissist’s needs without any expectation of reciprocity. In the offline world, people high in EE might expect favors such as time, money, social support, and indications of respect from others. Although time and money might be harder to demand on Facebook, those high in EE should expect social support and respect. Some research suggests that many individuals who gain social support on Facebook feel less stress (Wright et al., 2007). Facebook users who are high in EE would be predicted to demand social support but be unlikely to provide it to others. They feel that others should support them when they are distressed, but they feel no duty to reciprocate.
There are several ways that those high in EE might expect to receive respect from their social network on Facebook. Those high on EE would be likely to use Facebook to determine what others are saying about them. They would be more likely to focus on the status updates from their network for the purpose of determining if their network is speaking as well of them as their inflated sense of self-importance would demand. Some research suggests that when someone high in trait narcissism is slighted, they aggressively retaliate (Bushman and Baumeister, 1998 and Twenge and Campbell, 2003). Ackerman et al. (2011) argue that EE is the subscale is the aspect of narcissism most associated with socially disruptive behaviors such as aggression. Therefore, EE is predicted to be associated with responding to negative comments from others with verbally aggressive responses. Finally, if the EE subscale is tapping into a trait that demands respect from others, they would also be predicted to become angry when they do not get the respect they feel they deserve. One way this might be expressed on Facebook would be becoming angry when others do not comment on their status updates. When people post status updates on Facebook, others have the opportunity to indicate agreement or praise their comments. Someone high in EE would become angry when they did not get this attention. These hypotheses were tested using a survey of Facebook users.
[...]
A survey (N = 292) was conducted that measured self-promoting Facebook behaviors (e.g. posting status updates and photos of oneself, updating profile information) and several anti-social behaviors (e.g. seeking social support more than one provides it, getting angry when people do not comment on one’s status updates, retaliating against negative comments). The grandiose exhibitionism subscale of the narcissistic personality inventory was hypothesized to predict the self-promoting behaviors. The entitlement/exploitativeness subscale was hypothesized to predict the anti-social behaviors. Results were largely consistent with the hypothesis for the self-promoting behaviors but mixed concerning the anti-social behaviors. Trait self-esteem was also related in the opposite manner as the Narcissism scales to some Facebook behaviors.
1. Introduction
Facebook is one of the most popular websites in the world with over 600 million users (Ahmad, 2011). Those who use Facebook enjoy many benefits. Some college students use Facebook to seek and receive social support when they feel upset (Park et al., 2009 and Wright et al., 2007). Toma and Hancock’s (2011) recent experiments found when individuals are feeling distressed, they turn to Facebook to feel better. On the other hand, DeAndrea, Tong, and Walther (2011) argue that although online interaction provides opportunities for positive social interaction, some users abuse the affordances of social networking sites like Facebook to behave in anti-social ways. They argue that researchers need to move past seeking to determine if computer-mediated communication (CMC) has positive or negative effects as a whole but to determine why people use websites like Facebook in ways that promote or harm interpersonal relationships.
This study sought to take a step in that direction by examining one possible predictor of anti-social Facebook use: trait narcissism. The narcissistic personality type will first be briefly explicated. Then the existing research on the relationship between narcissism and Facebook use will be explored to develop hypotheses.
Investigating the relationship between narcissism and Facebook behavior is important because Facebook is becoming an increasingly important part of people’s lives. Several researchers have found a relationship between narcissism and frequency of using Facebook (Buffardi and Campbell, 2008, Mehdizadeh, 2010 and Ong et al., 2011). Other researchers found that narcissism is associated with the number of friends their participants have on Facebook (Bergman, Fearrington, Davenport, & Bergman, 2011). If these findings are accurate, it suggests that when people are interacting with others on Facebook, they are more likely to be interacting with individuals who are high in trait narcissism than in other contexts. If Facebook users are likely to be engaging in negative behaviors, the quality of the interpersonal interactions people experience on Facebook will be reduced. Furthermore, some research suggests that people are evaluated not just by their own profiles but by the comments others make on their profiles (Walther, Van Der Heide, Kim, Westerman, & Tong, 2008). The negative behavior of narcissists on Facebook may reflect poorly on the innocent friends of those narcissists. If the relationship between narcissism and various kinds of behaviors can be uncovered, perhaps interventions can be designed to improve the Facebook social skills of trait narcissists.
2. Narcissism
When they developed the narcissistic personality inventory (NPI), Raskin and Terry (1988) found a great deal of ambiguity in the personality literature concerning the primary aspects of narcissism. They therefore included a variety of heterogeneous traits in their conceptualization of narcissism. These included aspects such as “a grandiose sense of self-importance or uniqueness”, “an inability to tolerate criticism”, and “entitlement or the expectation of special favors without assuming reciprocal responsibilities” (p. 891).
This definition covers a constellation of concepts and the NPI sought to measure all of them as aspects of a single personality trait.
In contrast, Ackerman et al. (2011) argue that the NPI is really measuring three different traits. They claim that one of the aspects of narcissism measured by the NPI is leadership ability and that aspect is often associated with positive interpersonal outcomes. The leadership aspects of narcissism were not the focus of this investigation as they are associated with pro-social behavior. On the other hand, they argue that the NPI also includes two other aspects of narcissism that they discovered drive the relationship between narcissism and anti-social behavior. These traits were the focus of this investigation.
Ackerman et al. (2011) labeled the first socially toxic element, “Grandiose Exhibitionism” (GE). This aspect of narcissism includes “self-absorption, vanity, superiority, and exhibitionistic tendencies” (p. 6). People who score high on this aspect of narcissism need to constantly be at the center of attention. They say shocking things and inappropriately self-disclose because they cannot stand to be ignored. They will take any opportunity to promote themselves. Simply gaining the interest and attention of others satisfies them.
Attention is not enough for those who possess the other negative aspect of narcissism labeled, “Entitlement/Exploitativeness” (EE). Ackerman et al. (2011) argue this aspect includes “a sense of deserving respect and a willingness to manipulate and take advantage of others” (p. 6). This tendency goes beyond the need for attention associated with GE as people high in this trait are those who will feel they deserve everything. More importantly, these people do not let the feelings and needs of others impede their goals. Ackerman et al. (2011) found that participants with higher EE scores were increasingly likely to have negative interactions reported by their roommate and their roommate was more likely to be dissatisfied with their relationship.
3. Narcissism and Facebook
Examination of the interpersonal possibilities offered by Facebook as well as the limited extant research suggests several tentative hypotheses about Facebook behaviors and the two aspects of narcissism under investigation. Initially, individuals who are high in GE will want to gain the attention of the widest audience possible (Ackerman et al., 2011). Therefore, they are predicted to have a high friend count given their drive to seek attention from as many people as possible. If they are seeking a wider audience, they are also predicted to accept friend requests from strangers because they would be seeking an audience rather than using Facebook to engage in social interaction with existing friends. They may also attempt to gain the attention of their audience by frequently offering new content. Posting status updates, posting pictures of themselves, and changing their profile are all methods of using Facebook to focus attention on the self. These different aspects of providing content will be labeled self-promotion and as a group they are predicted to be positively associated with GE.
On the other hand, Ackerman et al. (2011) found that EE tended to be associated with anti-social behaviors that indicate that others should cater to the narcissist’s needs without any expectation of reciprocity. In the offline world, people high in EE might expect favors such as time, money, social support, and indications of respect from others. Although time and money might be harder to demand on Facebook, those high in EE should expect social support and respect. Some research suggests that many individuals who gain social support on Facebook feel less stress (Wright et al., 2007). Facebook users who are high in EE would be predicted to demand social support but be unlikely to provide it to others. They feel that others should support them when they are distressed, but they feel no duty to reciprocate.
There are several ways that those high in EE might expect to receive respect from their social network on Facebook. Those high on EE would be likely to use Facebook to determine what others are saying about them. They would be more likely to focus on the status updates from their network for the purpose of determining if their network is speaking as well of them as their inflated sense of self-importance would demand. Some research suggests that when someone high in trait narcissism is slighted, they aggressively retaliate (Bushman and Baumeister, 1998 and Twenge and Campbell, 2003). Ackerman et al. (2011) argue that EE is the subscale is the aspect of narcissism most associated with socially disruptive behaviors such as aggression. Therefore, EE is predicted to be associated with responding to negative comments from others with verbally aggressive responses. Finally, if the EE subscale is tapping into a trait that demands respect from others, they would also be predicted to become angry when they do not get the respect they feel they deserve. One way this might be expressed on Facebook would be becoming angry when others do not comment on their status updates. When people post status updates on Facebook, others have the opportunity to indicate agreement or praise their comments. Someone high in EE would become angry when they did not get this attention. These hypotheses were tested using a survey of Facebook users.
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References
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PERFORMANCE MUSICALE E RISONANZA EMPATICA di Alessandra Seggi L’intento di questo articolo è riflettere intorno al problema della performance musicale e di come questa attivi tanto nell’ascoltatore quanto nell’interprete una risonanza che coinvolge entrambi in una risonanza di tipo empatico. Questo processo d’interrelazione è stato ampiamente studiato ma in questa sede s’intende osservare la relazione interprete-ascoltatori seguendo i contributi offerti dalle recenti ricerche neuroscientifiche. L’espressione musicale ha da sempre fatto parte della comunicazione umana attraversando nei secoli modalità sonore socialmente e culturalmente condivise sia nelle forme che nelle specificità linguistiche. Fin qui niente di nuovo ma ciò che oggi le nuove ricerche scientifiche chiariscono è che non solo il prodotto musicale parla dell’epoca che lo ha prodotto ma rappresenta un punto importante di convergenza nella relazione umana intersoggettiva e sociale. Ciò che appare chiaro è la capacità della musica di evocare risonanze affettive e sensomotorie simili sia in chi ascolta che in chi suona. In quest’ottica fare così come ascoltare musica rappresentano due tipologie d’esperienza molto più simili fra loro di quanto si sarebbe potuto pensare. Perché si attiva questa risonanza fra interprete ed ascoltatore? La nostra condizione umana ci predispone alla necessità di stabilire relazioni con l’altro sia per confermare il nostro stesso esistere quanto per attivare una costruzione di sé che non potrebbe essere di natura autosufficiente. Così come il nostro essere sociale ci spinge a stabilire relazioni interpersonali positive promuovendo comportamenti prosociali in grado di rispondere a bisogni di tipo relazionali. Nel corso della propria esistenza l’uomo è insieme costruttore di un’identità collettiva quanto individuale all’interno della quale ritrovare una condivisione in grado di distinguerci in quanto esseri unici ma allo stesso tempo assimilarci agli altri come esseri appartenenti ad una comunità. La storia dell’evoluzione umana mostra come l’imitazione è il prerequisito di base per lo sviluppo di abilità sociali come comprendere l’emozioni esperite da altri proprio in virtù della capacità di rispecchiamento reciproco. Oggi sappiamo che il merito di queste straordinarie capacità risiede nel sistema dei neuroni specchio. Questi di fatto ci aiutano a ricostruire nel nostro cervello le intenzioni dell’altro permettendoci una comprensione profonda degli stati d’animo altrui. Questa modalità così connaturata con il nostro essere che si pone in continuo ascolto di sé e proiezione fuori da sé facilita notevolmente il comportamento sociale dell’essere umano. Ciò che si crea è un’interdipendenza del proprio sé con quello dell’altro in un rispecchiamento reciproco che costituisce il presupposto indispensabile alla costituzione di un processo d’ empatia. Ma cosa ha a che fare tutto questo con l’espressione musicale? Immaginiamoci una scena. Sono ad un concerto. Le luci si abbassano, in sala scende un silenzio carico di attesa, entra il direttore d’orchestra , applausi e poi di nuovo un silenzio ancora più denso; il direttore alza le braccia, respira ed in quell’attimo di grande concentrazione anche il mio respiro è sospeso fino all’attacco del suono. Perché tutto questo accade all’ascoltatore? E perché non accade solo agli interpreti? Ogni opera musicale si esprime sempre attraverso il corpo in azione è la dinamica del gesto che produce il suono coerente alla valenza espressiva manifesta. Proprio questa gestualità rappresenta il fulcro intorno al quale si costruisce una sintonizzazione capace di attivare anche in chi ascolta una condivisione simulata dell’esperienza stessa. Dagli studi compiuti in questi ultimi anni emerge chiaramente che la gestualità ed il linguaggio fanno parte di un unico sistema coerente. Del resto la gestualità precede lo sviluppo del linguaggio ed acquista una specifica valenza proprio nell’atto imitativo che rappresenta una prima forma di condivisione con l’altro. Gli studi sul sistema dei neuroni specchio hanno chiarito l’esistenza di un meccanismo neurale che mappa direttamente l’espressione delle azioni altrui sulla rappresentazione motoria delle stesse azioni presenti nel cervello dell’osservatore. I dati che emergono da questi studi mettono in evidenza la nostra capacità di entrare in risonanza con le azioni compiute dagli altri proprio perché i neuroni specchio si attivano sia quando compiamo un’azione sia quando la vediamo compiere da altri. Questo meccanismo di rispecchiamento, che coinvolge anche il nostro sistema motorio, dimostra che noi non solo vediamo con la parte visiva del cervello ma anche conil sistema motorio. “I neuroni specchio mappano in modo costitutivo una relazione tra agente e un oggetto: la semplice osservazione di un oggetto che non sia obiettivo di alcuna azione non evoca in essi alcuna risposta.” 1 “I neuroni specchio (…) sono alla base, prima ancora che l’imitazione, del riconoscimento e della comprensione del significato degli “eventi motori” ossia degli atti degli altri”. 2 Tali meccanismi di rispecchiamento sono presenti nell’atto musicale in termini di simulazione come al momento dell’apprendimento di tecniche specifiche tipo ditegggiature o articolazioni ma anche durante l’esecuzione di un brano chi ascolta è realmente parte attiva del processo sonoro che si compie nel momento. La base comune è rappresentata dalla capacità di sintonizzarsi empaticamente all’intenzionalità espressiva dell’atto musicale. Un’ espressività mostrata sia nella pratica interpretativa quanto nella gestualità dell’interprete. E’ così che sentirò vivere in me un coinvolgimento fisico quasi come se fossi in prima persona a suonare in quel momento, come se guardare ed ascoltare mi permettesse di esperire fisicamente sensazioni fisiche coerenti a ciò che si mostra. Alla luce di queste premesse è lecito ipotizzare che esista un linguaggio espressivo all’interno del quale esecutore ed ascoltatore generalmente concordano. L’idea sonora espressa dell’interprete prende forma non solo sul piano uditivo ma anche su quello gestuale in una coerenza capace di rinforzare l’idea espressiva nel suo presentarsi. Attraverso l’atto esecutivo il musicista rende leggibili le relazioni che si stabiliscono all’interno di un’ idea musicale. Tali atti sono anche la causa diretta sia della qualità espressiva sia della qualità sonora del risultato acustico nel suo insieme. L’esecuzione è così il risultato di un’interazione tra un piano di pensiero, ciò che si vuole ottenere, e ed un sistema flessibile di programmazione gestuale, atta ad ottenerlo. Alla luce di queste osservazioni possiamo considerare l’oggetto artistico come un atto di natura sociale capace di evocare risonanze di natura senso-motoria ed affettiva in colui che ascolta al pari di colui che realmente suona. La natura intersoggettiva della performance musicale si rivela nella capacità di rappresentazione mimetica di chi ascolta e quindi partecipa, anche involontariamente all’atto musicale nel suo complesso. “L’espressività è un tratto fondamentale dell’immediatezza mediata e corrisponde, tanto quanto la strumentalità o l’obiettività del sapere, alla tensione da compensare continuamente e all’intreccio tra corpo ed essere e corpo e avere. L’espressività è un modo originario per venire a capo del fatto di abitare in un corpo e contemporaneamente di avere un corpo.” 3 Ma allora da dove nasce questa consonanza tra interprete ed ascoltatore? C’è una modalità di risonanza comune tra gli individui nella fruizione artistica? Gli studi di neuroestetica si occupano proprio di indagare in questa direzione individuando possibili standard di percezione universale in grado di svelare la natura dei piaceri estetici che rileviamo davanti ad un’opera d’arte analizzando le conoscenze psicofisiche e neurocognitive proprie della parte visiva del cervello. Oggi questa ricerca è ampliata da studiosi quali V. Gallese e D. Freedberg che propongono di concentrare l’attenzione sui fenomeni che si producono a livello corporeo durante la contemplazione di opere visive. In particolare sull’osservazione dei meccanismi neuronali che assecondano il potere empatico delle immagini. Queste ricerche mostrano come la simulazione incarnata ed i sentimenti empatici generati dalle immagini svolgano un compito molto preciso durante la contepmlazione di opere d’arte. L’idea è che ci sia una sorta d’immedesimazione da parte dell’osservatore nella gestualità propria della produzione di un’opera d’arte, una specie d’imitazione fisica ed interiore della gestualità espressa visivamente. Queste ricerche hanno dimostrato che tanto la simulazione incarnata quanto il sistema senso-motorio risultano coinvolti nel riconoscimento delle emozioni e sensazioni espresse dagli altri proprio perché permettono la ricostruzione di cosa proveremmo in una particolare emozione mediante la simulazione dello stesso stato corporeo. Se questo accade nell’esperienza visiva si potrebbe immaginare uno stesso tipo di rispecchiamento anche nella pratica sonora tra interprete ed ascoltatore. Una simulazione dell’ascoltatore come se lui stesso prendesse parte attiva, fin dai neuroni, nella performance musicale. In parte questo accade già nel momento in cui il pubblico re-interpreta ad ogni ascolto l’opera in oggetto rinnovandone e attualizzandone continuamente il senso ma in questo caso non si tratterebbe di un’operazione squisitamente intellettuale-emozionale ma attraverso la simulazione incarnata si assisterebbe a ben altra tipologia di rispecchiamento. Se queste ricerche troveranno riscontro anche nell’ambito musicale si apriranno nuove prospettive di studio sulla natura del rispecchiamento fra interprete e pubblico e forse potremo guardare, con gli occhi della scienza, alla performance musicale da una prospettiva naturale ed universalmente condivisa tra individui magari non solo della stessa specie. | MUSICAL PERFORMANCE AND EMPATHIC RESONANCE by Alessandra Seggi The aim of this article is to think about the problem of the musical performance and how this can active in such a profound way, either in the listener and in the “actor”, which involves both in an empathic resonance. This interrelation process has been deeply studied but here we want to observe the relation between performer and listener following the contribution offered the recent neuro-scientific research. The musical expression has always been part of the human communication during history, crossing sound modes which have been socially and culturally shared both in their shapes and language specificity. Nothing new up to this point, but what is cleared by the modern scientific research is not only that the music product speaks about the age during which it is produced, but it also represents an important convergence point in the social and cross-subject human relation. What's clear to see is the capability of music to evoke affective and sensorimotor resonances similar to the ones evoked by the ones who play the music. In this view, making and listening to music represent two types of experience which are mutually similar, even more than what could be expected. Why does this resonance amongst player and listener gets activated? Our human condition makes us feel the need to establish relation between each others both to confirm our existence and to activate a self construction which couldn't be naturally self-contained. The same, our social being encourages us to establish positive interpersonal relations promoting pro-social capable of a positive feedback to relational needs. During its own existence, man is the building domain of a collective and meanwhile individual identity inside of which we can find a sharing, capable of underlining our being unique but at the same time assimilating us to other beings belonging to other communities. The history of human revolution shows how imitation is the basic requirement for the development of social abilities such as comprehending the emotions transmitted by others, exactly for this innate mirroring capability. Today we know that all of this extraordinary capacities lays in the system of mirror neurons. These actually help us rebuild in our brain the intentions of others, allowing us a deep comprehension of other people's moods. This mode, tightly connected with our being which is continuously listening and project itself, eases the social behavior of the human being. The result is an interdependence of one's own ego with others', in a mutual mirroring which builds the essential assumption to the built of an empathy process. But what’s the connection between all of this and the musical expression? Let's try to imagine. I'm in a concert. Light go down, the room falls in a waiting silence, the director of the orchestra comes in, applause and then again an even deeper silence; the director raises his arms, breathes and in that moment of great concentration even my own breath is broken until the sound starts. Why all of this happens to the listener and not only to the musicians? Each musical work is always expressed through the acting body, it is the dynamics of the movement which produces the sound, which is coherent to the shown expressive valence. From the studies made on the object in the last years, it clearly emerged that the gestures and the language are part of an unique coherent system. Inter alia the gesture precedes the development of language and acquires a specific valence especially in the imitation act which represents a first form of sharing with others. The study of the mirror neurons system have cleared the existence of a neural mechanisms which directly maps the expression of others' actions over the motor representation of the same actions which are found in the brain of the observer. The data which emerge from these studies show that our capacity of getting in resonance with the actions made by others exactly because the mirror neurons are activated both when we act and when we SEE action. This mirroring mechanism, which also involves our motor system, demonstrates that we not only see with the visual part of the brain, but also with the motor part. "Mirror neurons constructively map the relations between an agent and an object: the simple observation of an object which is not the subject of an action does not evoke any response". "Mirror neurons (...) are the fundament, even before imitation, of the recognition and comprehension of the meaning of 'motor events', which are the actions pf others". The mirroring mechanisms are present in the musical act in terms of simulation as in the moment of the learning of specific techniques such as articulation, but also in the execution of a track, and who listens is really an active part of the sound process which is happening in the specific moment. The common ground is represented by the capacity of empathically tuning to the expressive intentionality of the musical action. An expressivity which is shown both in the interpreting practice and in the gesture of the player. It is in this way that I'll feel a physical involvement as if I were playing the instrument myself, as if looking an listening could allow me to try physical sensations which are coherent with what's shown. It is possible at this stage to hypothesize the existence of an expressive language in which executer and listener generally accord. The sound idea expressed by the executer gets shaped not only on an auditory basis, but also on a gesture one in a coherence which is capable of reinforcing the expressive idea in its unveiling. Through the execution act, the musician makes the relations which happen in a musical idea visible. These acts are the direct cause of either of the expressive quality and of the sound quality of the acoustic result in its ensemble. The execution is the result of an interaction between thought and a flexible system of gesture planning. After these observations, we can consider the artistic object as a social act capale of evoking sense-motor resonances in the people whom listen and in the same way in who produces. The inter-subjective nature of music performance is revealed in the camouflage representation of who listens and, so, participates to the musical act itself. "Expressivity is a fundamental characteristic of the mediated out-rightness and corresponds to the tension to continuously offset and to the interlacement between body-and-being and body-and-wanting. The expressivity is an original way to solve the question of living in a body and having a body". So: where does the consonance between player and listener start from? Is there a common resonance amongst the individuals involved in artistic fruition? The neuro-esthetical studies deal with the detection of possible standards of universal perception, capable of unveiling the nature of the aesthetic pleasure which we feel in front of an artwork analyzing the psychophysical and neurocognitive knowledge own of the visual part of the brain. Today, this research is being expanded by researchers such as V. Gallese and D. Freedberg which propose to focus on the phenomena which are produced on the body during the contemplation of visual artworks. Especially on the observation of neuron mechanisms which accommodate the empathic power of images. These researches show how empathic simulation and feelings generated by the images perform a very specific task during the contemplation of artworks. The idea is there might be a sort of physical involvement from the visually expressed gesture. These researches have demonstrated that both simulation and sense-motor system are involved in the recognition of emotions and feelings expressed by others precisely because they allow the reconstruction of what we would feel in a specific emotion through the stimulation of the body status If this happens in the visual experience, we could imagine a similar mirroring also in the sound practice between interpreter and listener. A simulation of a listener as if he were taking an active part, from the neurons, in a music performance. The already happens partly in the moment in which the audience re-elaborates, during each fruition, the work renewing and actualizing continuously its sense, but in this case it will not only be and exclusively intellectual-emotional operation, but through the incarnated simulation we'll see a brand new type of mirroring. If these researches will be replied also in the music field, we'll attend the opening of new study perspectives about the mirroring between audience and interpreter and maybe we'll be able to see, through the science eyes, the music performance by a natural perspective which will be universally shared between the individuals, whom might not belong to the same species. |
References:
- Damasio A. R. , 1999: The Feeling of Waht Happens; trad. it. S. Frediani, Emozione e coscienza, Milano, Adelphi 2000.
- Damasio A. R. , 2003: Looking for Spinoza Joy, Sorrow, and Feeling Brain; trad. it. I. Blum, Alla ricerca di Spinoza Emozione, sentimenti e cervello, Milano, Adelphi 2003.
- Delalande F. , 1993: Le condotte musicali, Bologna, Clueb.
- Freedberg D. , 2007: Empatia, movimento ed emozione, in Immagini della Mente, Neuroscienze, arte e filosofia, a cura di G. Lucignani e A. Pinotti, Milano, Raffaello Cortina.
- Gallese V. , 2008: Il corpo teatrale: mimetismo, neuroni specchio, simulazione incarnata, Articolo pubblicato nel sito dell’autore http://www.unipr.it/arpa/mirror/english/staff/gallese.htm.
- Gallese V. , Freedberg D. , 2008: Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, “Prometeo” Rivista trimestrale di scienza e storia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore.
- Iacoboni M. , 2008: I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Torino, Bollati Boringhieri.
- Plessner H. , 1980: Anthropologie del Sinne, trad. it. M. Russo, Antropologia dei sensi, Milano, Raffaello Cortina 2008.
- Plessner H. , 1982: Lachen und Weinen, trad. it. V. Rasini, Il Riso e il Pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano, Milano, Studi Bompiani 2007.
- Rizzolati G. , Sinigaglia C. , 2006: So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, Raffaello Cortina.
- Schon D. , Akiva-Kabiri L. , Vecchi T. , 2007: Psicologia della musica, Roma, Carocci.
Notes:
1 Gallese, 2008, p. 21
2 Rizzolati, Sinigaglia,2006, p. 94-96
3 Plessner,2007, p. 78.
Introduzione al Product Placement
a cura di V. Dublino
Definizione
Il product placement (o product-tie in) è una sofisticata tecnica di comunicazione aziendale, che consiste nel posizionare un prodotto o un brand all’interno di una struttura narrativa in maniera precostituita riuscendo ad integrarsi ad esso.
Il Product Placement non è la Pubblicità Occulta (cioè la semplice bottiglia sul tavolo dietro l’attore protagonista o del pacchetto di sigarette in primo piano) un vero e proprio studio del posizionamento di un Brand o di un Prodotto/servizio fatto da esperti del settore che tenga conto dei caratteri tangibili ed intangibili dell' Oggetto da inserire nella struttura narrativa, e nello stesso tempo delle necessità e delle caratteristiche del formato (cinematografico, fiction televisiva, teatrale, radiofonica, videogioco, ..) con cui viene resa al pubblico la struttura narrativa.
Chi fa del product placement, infatti, per poterlo rendere efficace al meglio deve innanzitutto tener presente le "regole del mezzo" (il linguaggio) e del contesto in cui si va a posizionare il prodotto nella narrazione e, quindi, agire di conseguenza.
Il product placement non può essere equiparato a nessuno degli altri strumenti di comunicazione d’impresa solitamente usati.
E' una tecnica a se stante, con caratteristiche uniche.
Potrebbe essere paragonabile alla sponsorizzazione per alcune caratteristiche, per altre alla pubblicità e per altre ancora alla publicity, mantenendo però profonde differenze tra ogni una di queste tecniche.
Uno dei più grandi vantaggi del product placement, rispetto alle forme di pubblicità classica, ad esempio, è il fatto che questa tecnica è strettamente correlata all’attenzione con cui lo spettatore si pone nei confronti di ciò che vede ed ascolta.
La pubblicità è sicuramente uno tra i più importanti strumenti di comunicazione d’impresa, ma ha come grande difetto, quello di lavorare sulla “attenzione passiva” dell’audience.
La sua visione, infatti, non essendo richiesta dallo spettatore che è costretto a guardarla, riscontra nell’audience una soglia di attenzione bassa.
Una comunicazione d’impresa che è caratterizzata da un’intrinseca soglia di attenzione bassa richiede, per avere efficacia sul target di riferimento, una frequenza reiterata di trasmissione del messaggio molto elevata o deve essere caratterizzata da un Contenuto narrativo in grado di risvegliare l’attenzione del target: un obiettivo difficile da perseguire con spot commerciali tradizionali [2].
Con l’impiego del product placement non c’è bisogno di risvegliare l’attenzione dello spettatore, egli è già attivo nella sua visione di un film, di una fiction, di una sit-com.
E’ stato Lui a scegliere di vedere quel determinato prodotto ed sempre Lui a voler seguire con la massima attenzione tutto ciò che accade sullo schermo, compreso il product placement.
All’interno di una storia quanto più è credibile il posizionamento di un prodotto o di un brand, tanto più è accettato dallo spettatore e risulta, quindi, efficace.
Nell’adottare questa tecnica promo-comunicazionale, le Aziende, per poter studiare un buon posizionamento, sono quindi costrette ad adeguarsi alle regole narrative, in modo da far risultare l’uso dei loro prodotti e/o servizi reali, in quel contesto narrativo e di conseguenza credibili da parte dello spettatore.
Molte volte il prodotto, per integrarsi al meglio con la storia, può perfino arrivare ad essere inserito in maniera non convenzionale o in un modo che potrebbe sembrare negativo.
Definizione concettuale della tecnica pubblicitaria
Gerardo Corti nel suo studio pubblicato su "Occulta sarà tua sorella", per aiutarci a comprendere i meccanismi del product placement ci evidenzia alcuni fra quelli che sono ritenuti i migliori posizionamenti di product placement degli ultimi anni.
Lo spedizioniere espresso Fedex nel film “Cast Away”; la birra Guinness in “Minority Rèport”; il quotidiano Usa Today in “Se scappi ti sposo” e lo shampoo Head & Shoulder in “Evolution”.
In Cast Away Fedex ha ottenuto un’enorme ritorno di notorietà di marca, il marchio esce più che rafforzato nonostante un suo aereo precipiti e una grossa spedizione vada dispersa.
In Minority Report la birra Guinness non viene bevuta, ma il suo cartellone serve per smascherare l’identità dell’eroe.
All’inizio di Se scappi ti sposo la testata Usa Today licenzia il giornalista Ike Graham (Richard Gere), cosa che gli permetterà di conquistare la sfuggente Maggie Carpenter (Julia Roberts).
In Evolution abbiamo poi il caso estremo in cui lo shampoo Head & Shoulder della Procter & Gamble viene mostrato come la migliore arma per distruggere gli alieni. Tutti ottimi posizionamenti alternativi che solo aziende esperte di product placement osano affrontare.
Tutti brand americani. Il numero di case history di product placement di origine europea è ancora molto esiguo, nonostante il product placement sembra essere nato contemporaneamente all’avvento del cinema. Da parte della maggior parte delle aziende europee si evidenzia ancora una profonda diffidenza: se queste dovessero pubblicizzare, ad esempio, una crema per il viso, pretenderebbero di farlo come in uno spot, con un’attrice che stila un elenco infinito dei suoi principi attivi.
Questo posizionamento verrebbe percepito dallo spettatore come “pubblicità occulta” e, quindi, rifiutato in quanto ritenuto come qualcosa di subdolo.
Al contrario un posizionamento che metta in gioco il marchio farebbe divertire lo spettatore, costringendolo a ricordare il prodotto. In questa tecnica i maestri sono, ovviamente, gli americani, seguiti a ruota dagli orientali (Hong Kong e Giappone in testa).
Gli americani hanno potuto superare una certa diffidenza verso questo strumento grazie ai successi ottenuti da alcune aziende e alle relative occasioni mancate da altre.
Il caso più famoso è sicuramente quello capitato alla M&M’s nel 1981, quando fu contattata dalla Amblin Entertainment (la compagnia di produzione di Steven Spielberg) per posizionare il proprio prodotto nel film “E.T. L’extraterrestre”.
L’idea del regista era quella di far attirare E.T. dal piccolo Elliott con delle praline di cioccolato, in modo da farlo arrivare fino in camera sua e creare il primo contatto e la prima amicizia tra uomo e alieno.
La Mars (interpellata per il brand M&M’s) rifiutò il progetto non ritenendo opportuno far mangiare il proprio prodotto a un piccolo essere deforme.
La produzione passò l’offerta alla Hershey per il suo prodotto Reeve’s Pieces, competitor minore di M&M’s, che deteneva una piccolissima quota di mercato. La Hershey accettò e in poco tempo (grazie al successo del film e al fatto che nel film le praline di cioccolato erano catalizzatrici dell’amicizia fra l’alieno e il bambino) il brand aveva fatto presa sul pubblico. I Reeve’s Pieces cominciarono a conquistare quote di mercato a scapito della M&M’s, trovandosi in pochissimo tempo a competere agli stessi livelli, raggiungendo un incremento del 66% delle vendite nel trimestre successivo all’uscita del film.
A fronte di un investimento relativamente modesto, il product placement permise ai Reeve’s Pieces non solo di competere con il concorrente più temibile, ma offrì la possibilità di essere presente nell’immaginario del suo target di riferimento ogni qualvolta un bambino avesse avuto voglia di vedere o rivedere la storia di E.T.
Metodi di posizionamento
Ogni volta che si parla di product placement ad un profano, la definizione che comunemente si utilizza per far capire il concetto è quella di “pubblicità occulta nei film”, dalla quale si ottiene un molto più chiarificante: “Ah, sì! Il pacchetto di sigarette Marlboro che l’attore tiene in primo piano”.
Sebbene per lo spettatore medio rimanga la concezione che questo sia il metodo con cui viene fatto il product placement, in realtà questa abitudine è caduta in disuso da parecchi anni anche per motivi legati alle norme pubblicitarie per i prodotti da fumo.
Quali sono allora i metodi di posizionamento più usati? E quali funzionano di più?
La semplice collocazione del marchio, del prodotto o addirittura della stessa pubblicità all’interno del film e la citazione o l’utilizzo da parte del protagonista sono tra i più diffusi. Nessuno di questi è migliore in assoluto rispetto agli altri, poiché ognuno ha la sua storia e ognuno deve riuscire a integrarsi come può all’interno di uno specifico film.
In “The Truman Show” (Peter Weir, Usa, 1998), gli attori interrompevano la vita di Truman Burbank con vere e proprie promozioni pubblicitarie di biscotti, cioccolato o birra.
Un altro dei posizionamenti possibili è quello dell’apparizione del brand sotto forma di cartello. Considerata la sua semplicità, questo è stato il primo dei metodi utilizzati.
Cartelloni, come abbiamo visto, sono apparsi sin dai tempi dei Lumière. Il più semplice è ovviamente quello del cartello situato sulla strada del protagonista mentre questo è costretto a passare. I cartelli hanno fatto la loro comparsa ovunque, sotto forma di manifesti pubblicitari, neon, insegne o negozi e anche i posizionamenti si sono fatti sempre più interessanti.
Come per tutti i metodi l’importante non è semplicemente inserire un cartello, ma far sì che lo spettatore lo trovi interessante, che lo ricordi.
Per far questo sono stati utilizzati praticamente tutti i mezzi: dalle gambe di Marilyn che facevano capolino dal cartellone della Ford in “Il magnifico scherzo” (Howard Hawks, Usa, 1952), alle dichiarazioni d’amore di John Leguziano in “A Wong Foo, grazie di tutto” (Beeban Kidron, Usa, 1994), all’ossessione provocata da un cartello pubblicitario di Fernet Branca in “Bella, ricca, lieve difetto fisico cerca anima gemella” (Nando Cicero, Italia, 1973) fino ai cartelloni digitali futuristici di “Minority Report” che chiamano il protagonista per nome.
Un secondo metodo, molto utilizzato, è quello di parlare del prodotto in maniera più o meno esplicita, sia richiedendolo semplicemente, sia mettendo in risalto le sue caratteristiche, sia facendolo diventare protagonista della storia oppure citandolo in qualche battuta.
Nel primo caso vengono compresi gli esempi classici: il protagonista richiede il prodotto (“L’aperitivo lo pago io …. Due Cynar!“, battuta di Vittorio Gassman verso Jean Louis Trintignant in “Il sorpasso”); oppure lo offre a uno dei protagonisti (“Vuoi un Jack Daniel’s?” come chiede Michael Douglas a Sharon Stone in “Basic Instinct”; ) o lo cita in una situazione qualunque (“Staresti benissimo con un Armani” come fa Mel Gibson in “What Women Want”).
Questi sono ovviamente i casi base, i più facili da inserire (in ogni film un protagonista può aver bisogno di un oggetto o di bere qualcosa), i più immediati, ma anche (a parte casi particolari) i più scontati per lo spettatore. Far citare il prodotto da uno dei protagonisti, o esaltarne le caratteristiche, è stato un sistema utilizzato fin dal principio e raggiunse la massima diffusione con i film degli anni Settanta.
Il suo impiego è arrivato a livelli tali che in “The Retum of the Killers Tomatoes” George Clooney sembra farne una parodia nella scena dell’inseguimento con la sua Honda 850 dove, prima di correre, ne spiega tutti gli aspetti tecnici.
Nel corso degli anni questa tecnica ha subito una profonda evoluzione: le qualità dei prodotti vengono citate implicitamente nel discorso, come fa Catherine Zeta Jones in “Hunting, Presenze” laddove si vanta della sua classe dicendo che gli stivali di Prada devono essere comprati a Milano o a New York. O come succede in “Ronin” dove per l’operazione viene chiesta da De Niro a Jean Reno “un’auto veloce e che sappia resistere agli urti come l’Audi S8. Chris Tucker in “Colpo grosso al Drago Rosso” sottolinea la sensualità di Rosaline Sanchez citando a memoria la pagina del catalogo di Victoria’s Secret descrivendo la biancheria intima che indossa il personaggio.
Un’altra idea che viene sfruttata è l’inserire il nome del prodotto all’interno di una battuta divertente o di citarne il marchio con un doppio senso o in una situazione già nota allo spettatore, come può essere uno slogan pubblicitario.
A volte si arriva persino a non citare il prodotto o il marchio, ma a fare riferimento a situazioni/tormentoni testimonial presenti in campagne pubblicitarie. Questo tipo di posizionamento (che utilizza il cross media promotion) funziona naturalmente solo per determinati prodotti e nelle nazioni nelle quali è stato trasmesso il determinato spot di riferimento.
Pur essendo molto efficace il product placement che sfrutta il cross media promotion, lo svantaggio principale consiste nell’essere vincolato a un certo periodo di tempo, legato al periodo di trasmissione della campagna pubblicitaria e al suo successivo periodo di ricordo.
L’ultimo tipo di posizionamento è il più importante: far utilizzare il prodotto ai protagonisti. Il suo uso può essere canonico, come una birra bevuta o un’auto guidata, o improprio, come il cellulare SonyEricsson di James Bond che gli salva la vita o il camion della Carlsberg che dà “un passaggio all’Uomo Ragno” durante il suo primo inseguimento per le strade di New York.
Vista la rilevanza di questo tecnica pubblicitaria, le agenzie specializzate incaricate dalle Aziende studiano i modi migliori per far presa sul pubblico cercando di intervenire, in quella misura che viene consentita, sulla trama in alcuni casi in stretta cooperazione con gli sceneggiatori.
Per trovare i posizionamenti più efficaci, l’azienda deve considerare alcune variabili, a seconda del risultato che vuole ottenere.
Come le Marche diventano protagoniste
L’utilizzo di una marca o un di prodotto può raggiungere l’apice quando questi diventano protagonisti assoluti, indispensabili per l’attore principale o addirittura determinanti per l’intera trama.
Questa pratica comincia all’incirca negli anni Sessanta come ad esempio con il film “Colazione da Tiffany”: la trama si sviluppa con la protagonista che passa tutte le mattine davanti all’omonima gioielleria in New York.
In “Uno, due, tre” James Cagney è il direttore della filiale della Coca Cola in una brillante satira diretta da Wilder ed ambientata Berlino Ovest.
Un prodotto di marca diventa addirittura culto e star incontrastata di alcune pellicole come succede in “Herbie, il maggiolino tutto matto” che viene considerata come la più importante campagna attuata da Volkswagen per promuovere la sua utilitaria.
Le best practice si susseguono affinandosi nella loro tecnica fino ad importanti posizionamenti come Fedex in Cast Away o Mini Morris in “The Italian Job”.
Far diventare una marca elemento centrale di un film è una delle cose più difficili e nello stesso tempo più entusiasmanti per una Azienda che vuole impiegare questa tecnica pubblicitaria.
Il brand deve riuscire a far trasparire tutte le sue caratteristiche ma, contemporaneamente, deve entrare in sintonia con lo stile della storia per non “infastidire” lo spettatore.
Il pubblico deve seguire la storia, accorgendosi del prodotto sponsor, essere cosciente che sia uno sponsor e rimanerne appagato e non infastidito.
Tutto questo può essere ottenuto solo con la perfetta interazione fra Azienda/Marca, casa di produzione e consulenti di product placement, ciò presuppone che si evidenzino gli estremi per poter intervenire sulla sceneggiatura, che deve entrare in perfetta comunione con il prodotto che si vuole pubblicizzare. Negli Stati Uniti dove il product placement rappresenta una componente rilevante nel reperimento di fondi per una produzione di un film, le scuole di scrittura creativa addestrano gli sceneggiatori a “pensare creativamente“ anche in funzione di eventuali prodotti o servizi che potranno essere pubblicizzati, a prescindere dalla Azienda/Marca che vorrà aderire al progetto.
I seguenti elementi, sono i fattori che vengono presi in considerazione per l’analisi di una operazione di product placement
Successo del film
Il successo di un prodotto cinematografico, audiovisivo o di un videogioco, non è mai calcolabile a priori. Per fare delle valutazioni è necessario basarsi su dei precedenti.
Esso, inoltre, va calcolato non solo sul potenziale buon risultato di botteghino, ma anche sul potenziale esito raggiungibile in tutte le successive fasi di distribuzione. Un film dopo la distribuzione nelle sale, viene distribuito in dvd, poi in pay-per-view, fino ad essere replicato nel corso degli anni n-volte sulle reti generaliste.
In maniera, paradossale, la pirateria e il circuito di scambio su Internet viene preso in considerazione dall’Azienda sponsor nel calcolo quantitativo delle persone che andranno in contatto con il prodotto che promuovono attraverso il loro contributo alla produzione.
Corrispondenza tra il film e il target di riferimento
Il primo scopo di un’azienda che si avvicina al product placement è quello di raggiungere quantomeno il proprio target e, quindi, posizionarsi in film destinati a raggiungere lo stesso pubblico/obiettivo.
Un esempio classico è quello de “L’uomo che sussurrava ai cavalli” nel quale per alcuni secondi si vede il sito Equisearch.com attraverso il quale la protagonista contatta Robert Redford.
I contatti dell’azienda salirono del 400% nel giro di pochissimo tempo. Un’azienda era riuscita a colpire il target degli appassionati di equitazione, che attraverso il film vennero a conoscenza del sito. Il risultato economico del film fu un successo in termini di biglietti venduti (quindi di spettatori), paradossalmente però, anche seil film fosse stato un fiasco e avesse attirato solo gli amanti di equitazione, Equisearch avrebbe ottenuto un risultato senza precedenti attuando il suo product placement.
Caratterizzazione del brand rispetto al target
Un’azienda può decidere di colpire anche target limitrofi o differenti da quelli abituali, apparendo in film a loro dedicati. È praticamente il discorso fatto precedentemente sulla Coca-Cola: qualunque film può essere adatto per posizionarla basta solo seguirne le regole. La biancheria intima di Victoria’s Secrets, ad esempio, si posiziona in film dedicati al suo target femminile facendo leva sul fatto di essere l’oggetto del desiderio di qualunque donna, ma si rivolge anche ai maschietti comparendo in film a loro dedicati, in cui vengono riprese bellissime modelle, che indossano quella biancheria.
Visibilità della Marca
La visibilità della Marca è uno dei parametri più discussi. La Marca deve essere visibile e riconoscibile, ma un’eccessiva esposizione non motivata potrebbe risultare dannosa. Bisogna anche in questo caso studiare caso per caso.
Per meglio comprendere questo fattore, prendiamo in esame due film abbastanza recenti: Cast Away e Minority Report.
In Cast Away la comparsa della marca Fedex entra in scena per moltissimo sia all’inizio che alla fine del film. Nel secondo la Guinness compare per meno di due secondi ma, essendo una scena spettacolare ad alto coinvolgimento emotivo, la sua visibilità è massima.
Quando si analizza la visibilità bisogna tener presenti le seguenti variabili: brand identity e importanza del marchio, immagine visiva dei prodotto/marca, tipologia di posizionamento (apparizione, uso, citazione, comparazione), modalità di posizionamento (statico/dinamico, ripetuto/unico, con citazione/senza citazione), tempificazione del posizionamento (durata, momento di inserimento in sceneggiatura), grado di integrazione del posizionamento con la storia e i personaggi e, infine, la sua credibilità.
Posizionamento del brand
La visibilità del brand dipende ovviamente dai tipo di posizionamento utilizzato che può anche essere un semplice cartello, oppure l’utilizzazione del prodotto come oggetto di scena, il coinvolgimento della marca/prodotto nella storia, la citazione o il posizionamento di testimonial, ripresi ad esempio nella trasposizione in advertising utilizzando il cross media promotion.
Per la scelta del posizionamento è molto importante che l’azienda stabilisca il suo livello di coinvolgimento nel film analizzando anche l’interazione tra prodotto, storia e protagonista.
Interazione tra prodotto e storia
Il product placement diventa tanto più importante quanto più interagisce con la storia.
Come in “Uno, due, tre” di Billy Wilder dove James Cagney è il direttore della Coca-Cola Germania e risolve tutti i suoi problemi che ha con la figlia che si innamora di un “comunista ortodosso” tedesco della Germania est e che riesce a convertire al “capitalismo” con l’aiuto della famosa bibita.
Interazione tra prodotto e protagonista
I prodotto può semplicemente essere utile al protagonista senza per questo influenzare le vicende della storia, oppure diventare parte integrante della narrazione. Si va dai classici prodotti utilizzati nei film come oggetti di scena a pellicole come “Parla con lei” di Pedro Almodòvar, nel quale il protagonista lavora per il quotidiano EI Pais. Il quotidiano spagnolo, pur essendo ricordato più volte, è ininfluente ai fini del racconto.
In Cast Away, invece, le genialità degli sceneggiatori del film (che si sono ispirati, adattandola, alla storia di Robinson Crusuoè) consacra un prodotto oggetto di una attività di product placement a coprotagonista di un film. L’amico di Robinson Crusoe, Venerdì, viene sostituito con Wilson, (un pallone appunto prodotto dalla Wilson produttore di articoli sportivi), con cui Tom Hanks recita lunghi monologhi per buona parte del film.
Analogie prodotto-protagonista
Le analogie prodotto-protagonista sono quelle che maggiormente fanno avvicinare il product placement alla publicity. L’esempio classico riportato in letteratura è 007,James Bond, ma qualunque personaggio può costituire un buon testimonial, l’importante è la sua credibilità agli occhi del pubblico e le analogie con il prodotto. La marca interagisce con il personaggio definendo le sue caratteristiche e a sua volta il personaggio le trasferisce sul prodotto
Coinvolgimento emotivo dello spettatore
Come visto il principale vantaggio del product placement rispetto ad altri strumenti di comunicazione promozionale è quello di giocare sull’attenzione attiva dello spettatore. Un’Azienda può, pertanto, posizionare un prodotto cercando di coinvolgere emotivamente lo spettatore.
La scena in cui Wilson viene portato via dalle onde è sicuramente la più commovente di Cast Away, nella quale lo spettatore si commuove per un pallone da pallavolo. L’aver fatto diventare una marca il migliore amico del protagonista di un film è stata una delle operazioni di product placement che farà scuola.
Sono in fase di sperimentazione attività di product placement in grado di incrementare il coinvolgimento emotivo dello spettatore allo scopo di rafforzare l’attenzione attiva dello spettatore. Alcune di queste sperimentazioni, ad esempio, tendono a coniugare diversi aspetti della comunicazione di marketing, come il cosiddetto “marketing tribale [3]” e il “marketing virale [4]”.
Rafforzamento immagine-prodotto
L’ultimo parametro riguarda il rafforzamento dell’immagine del prodotto.
L’Azienda può decidere di apparire al meglio associando un suo prodotto a un determinato stile di vita oppure facendo compiere ai suoi prodotti prestazioni eccezionali.
Come può succedere di solito con le automobili di James Bond (in uno degli ultimi film, per la prima volta, anche con quelle del suo nemico, dal momento che Aston Martin e Jaguar sono entrambe marche della Ford), sia rafforzando una sua particolare caratteristica.
O come traspare ancora una volta in Cast Away, in cui l’appartenenza e la sua fedeltà ai gruppo Fedex da parte di Tom Hanks, e di conseguenza l’affidabilità dell’azienda, viene dimostrata dal fatto che, nonostante tutte le sue disavventure, il naufrago sopravvive per portare a termine la consegna del pacco che gli era stato affidato.
Sintesi
In linea generale, si parla di product placement tutte le volte che un prodotto o un brand appare all’interno di una qualche forma di spettacolo ed è legato allo sviluppo della sua trama o della sceneggiatura. Risultano pertanto esclusi gli inserimenti pubblicitari, le promozioni, le sponsorizzazioni, ecc.
Le modalità di inserimento sono sostanzialmente tre:
Il prodotto può essere rappresentato visivamente (screen) in primo piano, pienamente visibile dallo spettatore e in tal caso garantisce la massima esposizione della marca.
Oppure può essere inserito sullo sfondo, sia in interni che in esterni, come parte della scenografia.
Nel secondo caso è evidente che è più difficile riconoscere il prodotto, ma a ciò si ovvia in genere con l’elevata frequenza o con la lunghezza del periodo di esposizione. Inoltre, nell’ambito dell’intero programma, è possibile combinare diverse modalità di inserimento, per ottenere effetti più o meno intensi sullo spettatore.
La seconda dimensione dell’inserimento è quella verbale (script): meno frequente e meno evidente di quella visiva, la modalità verbale consiste nel far parlare del prodotto dai personaggi del programma o del film. Anche in questa modalità sono possibili diversi livelli di esposizione: il prodotto può essere l’oggetto di una discussione tra i protagonisti o uno scampolo casuale di conversazione tra due passanti o, ancora, un break pubblicitario di una trasmissione radiofonica inserita nella scena. Anche in questo caso sono possibili ripetizioni per aumentare il livello di esposizione.
Gli inserimenti puramente verbali sono relativamente rari; più spesso sono associati a un’inquadratura del prodotto per aumentarne l’efficacia. L’inserimento integrato consiste nel costruire la sceneggiatura (il plot) in modo tale da attribuire al prodotto un ruolo sostanziale nello sviluppo della storia.
L’inserimento dei prodotti nei film risponde a obiettivi e logiche di due distinte categorie di soggetti: i produttori e gli inserzionisti. Dal punto di vista della produzione cinematografica, è necessario considerare anzitutto l’aspetto economico-finanziario: attraverso i contratti di product placement è possibile finanziare la produzione e, al contempo, anticipare flussi di entrate che altrimenti si manifesterebbero solo momento dell’uscita del film. Inoltre, i contratti di product placement prevedono speciali clausole relative alla promozione del film e del prodotto: l’inserzionista, in occasione dell’uscita del film, realizza campagne di comunicazione sul proprio prodotto che richiamano direttamente il film e i suoi personaggi. Al di là dell’aspetto economico, in questi casi si realizza un’efficace sinergia tra modalità e canali di comunicazione diversi.
Teoricamente parlando, l’inserimento dei prodotti nei film può avere effetti positivi su notorietà e atteggiamento in relazione ai seguenti elementi:
Quanto più tali esperienze sono risultate piacevoli, tanto più lo sarà quella di utilizzo del prodotto.
I vantaggi e i limiti del Product Placement
Qui di seguito vengono sintetizzati i vantaggi e i limiti del Product Placement
Vantaggi
(i limiti qui sotto esposti si rifanno ad esperienze per lo più osservate per attività di PP inserite in feature film distribuiti nelle sale cinematografiche)
Con riguardo ai tempi ed ai modi di fruizione del prodotto cinematografico, bisogna ricordare come il successo e la diffusione di una pellicola siano tipicamente non programmabili a priori. In tal senso, accanto a film ad elevata diffusione e notorietà a livello nazionale ed internazionale, si affiancano pellicole di scarso successo. Anche noti registi e attori, sostenuti spesso da consistenti investimenti pubblicitari, possono dare vita a film poco apprezzati, per i quali la vita utile si limita al passaggio per poche serate in un ridotto numero di sale cinematografiche.
Il ‘placement’, associandosi ai film, ne ‘subisce’ in tal modo il successo o l’insuccesso. Nel primo caso, può quindi trovare diffusione a livello nazionale ed internazionale oltre che sui circuiti televisivi e di home video, talvolta anche con opportunità di ripetizione della visione da parte dei medesimi soggetti. Nel secondo caso, quando invece il film è un insuccesso, anche il ‘placement’ che vi trova spazio resta esposto alla visione di pochi ‘pionieri’ e difficilmente accede ad ulteriori canali di diffusione.
Il product placement (o product-tie in) è una sofisticata tecnica di comunicazione aziendale, che consiste nel posizionare un prodotto o un brand all’interno di una struttura narrativa in maniera precostituita riuscendo ad integrarsi ad esso.
Il Product Placement non è la Pubblicità Occulta (cioè la semplice bottiglia sul tavolo dietro l’attore protagonista o del pacchetto di sigarette in primo piano) un vero e proprio studio del posizionamento di un Brand o di un Prodotto/servizio fatto da esperti del settore che tenga conto dei caratteri tangibili ed intangibili dell' Oggetto da inserire nella struttura narrativa, e nello stesso tempo delle necessità e delle caratteristiche del formato (cinematografico, fiction televisiva, teatrale, radiofonica, videogioco, ..) con cui viene resa al pubblico la struttura narrativa.
Chi fa del product placement, infatti, per poterlo rendere efficace al meglio deve innanzitutto tener presente le "regole del mezzo" (il linguaggio) e del contesto in cui si va a posizionare il prodotto nella narrazione e, quindi, agire di conseguenza.
Il product placement non può essere equiparato a nessuno degli altri strumenti di comunicazione d’impresa solitamente usati.
E' una tecnica a se stante, con caratteristiche uniche.
Potrebbe essere paragonabile alla sponsorizzazione per alcune caratteristiche, per altre alla pubblicità e per altre ancora alla publicity, mantenendo però profonde differenze tra ogni una di queste tecniche.
Uno dei più grandi vantaggi del product placement, rispetto alle forme di pubblicità classica, ad esempio, è il fatto che questa tecnica è strettamente correlata all’attenzione con cui lo spettatore si pone nei confronti di ciò che vede ed ascolta.
La pubblicità è sicuramente uno tra i più importanti strumenti di comunicazione d’impresa, ma ha come grande difetto, quello di lavorare sulla “attenzione passiva” dell’audience.
La sua visione, infatti, non essendo richiesta dallo spettatore che è costretto a guardarla, riscontra nell’audience una soglia di attenzione bassa.
Una comunicazione d’impresa che è caratterizzata da un’intrinseca soglia di attenzione bassa richiede, per avere efficacia sul target di riferimento, una frequenza reiterata di trasmissione del messaggio molto elevata o deve essere caratterizzata da un Contenuto narrativo in grado di risvegliare l’attenzione del target: un obiettivo difficile da perseguire con spot commerciali tradizionali [2].
Con l’impiego del product placement non c’è bisogno di risvegliare l’attenzione dello spettatore, egli è già attivo nella sua visione di un film, di una fiction, di una sit-com.
E’ stato Lui a scegliere di vedere quel determinato prodotto ed sempre Lui a voler seguire con la massima attenzione tutto ciò che accade sullo schermo, compreso il product placement.
All’interno di una storia quanto più è credibile il posizionamento di un prodotto o di un brand, tanto più è accettato dallo spettatore e risulta, quindi, efficace.
Nell’adottare questa tecnica promo-comunicazionale, le Aziende, per poter studiare un buon posizionamento, sono quindi costrette ad adeguarsi alle regole narrative, in modo da far risultare l’uso dei loro prodotti e/o servizi reali, in quel contesto narrativo e di conseguenza credibili da parte dello spettatore.
Molte volte il prodotto, per integrarsi al meglio con la storia, può perfino arrivare ad essere inserito in maniera non convenzionale o in un modo che potrebbe sembrare negativo.
Definizione concettuale della tecnica pubblicitaria
Gerardo Corti nel suo studio pubblicato su "Occulta sarà tua sorella", per aiutarci a comprendere i meccanismi del product placement ci evidenzia alcuni fra quelli che sono ritenuti i migliori posizionamenti di product placement degli ultimi anni.
Lo spedizioniere espresso Fedex nel film “Cast Away”; la birra Guinness in “Minority Rèport”; il quotidiano Usa Today in “Se scappi ti sposo” e lo shampoo Head & Shoulder in “Evolution”.
In Cast Away Fedex ha ottenuto un’enorme ritorno di notorietà di marca, il marchio esce più che rafforzato nonostante un suo aereo precipiti e una grossa spedizione vada dispersa.
In Minority Report la birra Guinness non viene bevuta, ma il suo cartellone serve per smascherare l’identità dell’eroe.
All’inizio di Se scappi ti sposo la testata Usa Today licenzia il giornalista Ike Graham (Richard Gere), cosa che gli permetterà di conquistare la sfuggente Maggie Carpenter (Julia Roberts).
In Evolution abbiamo poi il caso estremo in cui lo shampoo Head & Shoulder della Procter & Gamble viene mostrato come la migliore arma per distruggere gli alieni. Tutti ottimi posizionamenti alternativi che solo aziende esperte di product placement osano affrontare.
Tutti brand americani. Il numero di case history di product placement di origine europea è ancora molto esiguo, nonostante il product placement sembra essere nato contemporaneamente all’avvento del cinema. Da parte della maggior parte delle aziende europee si evidenzia ancora una profonda diffidenza: se queste dovessero pubblicizzare, ad esempio, una crema per il viso, pretenderebbero di farlo come in uno spot, con un’attrice che stila un elenco infinito dei suoi principi attivi.
Questo posizionamento verrebbe percepito dallo spettatore come “pubblicità occulta” e, quindi, rifiutato in quanto ritenuto come qualcosa di subdolo.
Al contrario un posizionamento che metta in gioco il marchio farebbe divertire lo spettatore, costringendolo a ricordare il prodotto. In questa tecnica i maestri sono, ovviamente, gli americani, seguiti a ruota dagli orientali (Hong Kong e Giappone in testa).
Gli americani hanno potuto superare una certa diffidenza verso questo strumento grazie ai successi ottenuti da alcune aziende e alle relative occasioni mancate da altre.
Il caso più famoso è sicuramente quello capitato alla M&M’s nel 1981, quando fu contattata dalla Amblin Entertainment (la compagnia di produzione di Steven Spielberg) per posizionare il proprio prodotto nel film “E.T. L’extraterrestre”.
L’idea del regista era quella di far attirare E.T. dal piccolo Elliott con delle praline di cioccolato, in modo da farlo arrivare fino in camera sua e creare il primo contatto e la prima amicizia tra uomo e alieno.
La Mars (interpellata per il brand M&M’s) rifiutò il progetto non ritenendo opportuno far mangiare il proprio prodotto a un piccolo essere deforme.
La produzione passò l’offerta alla Hershey per il suo prodotto Reeve’s Pieces, competitor minore di M&M’s, che deteneva una piccolissima quota di mercato. La Hershey accettò e in poco tempo (grazie al successo del film e al fatto che nel film le praline di cioccolato erano catalizzatrici dell’amicizia fra l’alieno e il bambino) il brand aveva fatto presa sul pubblico. I Reeve’s Pieces cominciarono a conquistare quote di mercato a scapito della M&M’s, trovandosi in pochissimo tempo a competere agli stessi livelli, raggiungendo un incremento del 66% delle vendite nel trimestre successivo all’uscita del film.
A fronte di un investimento relativamente modesto, il product placement permise ai Reeve’s Pieces non solo di competere con il concorrente più temibile, ma offrì la possibilità di essere presente nell’immaginario del suo target di riferimento ogni qualvolta un bambino avesse avuto voglia di vedere o rivedere la storia di E.T.
Metodi di posizionamento
Ogni volta che si parla di product placement ad un profano, la definizione che comunemente si utilizza per far capire il concetto è quella di “pubblicità occulta nei film”, dalla quale si ottiene un molto più chiarificante: “Ah, sì! Il pacchetto di sigarette Marlboro che l’attore tiene in primo piano”.
Sebbene per lo spettatore medio rimanga la concezione che questo sia il metodo con cui viene fatto il product placement, in realtà questa abitudine è caduta in disuso da parecchi anni anche per motivi legati alle norme pubblicitarie per i prodotti da fumo.
Quali sono allora i metodi di posizionamento più usati? E quali funzionano di più?
La semplice collocazione del marchio, del prodotto o addirittura della stessa pubblicità all’interno del film e la citazione o l’utilizzo da parte del protagonista sono tra i più diffusi. Nessuno di questi è migliore in assoluto rispetto agli altri, poiché ognuno ha la sua storia e ognuno deve riuscire a integrarsi come può all’interno di uno specifico film.
In “The Truman Show” (Peter Weir, Usa, 1998), gli attori interrompevano la vita di Truman Burbank con vere e proprie promozioni pubblicitarie di biscotti, cioccolato o birra.
Un altro dei posizionamenti possibili è quello dell’apparizione del brand sotto forma di cartello. Considerata la sua semplicità, questo è stato il primo dei metodi utilizzati.
Cartelloni, come abbiamo visto, sono apparsi sin dai tempi dei Lumière. Il più semplice è ovviamente quello del cartello situato sulla strada del protagonista mentre questo è costretto a passare. I cartelli hanno fatto la loro comparsa ovunque, sotto forma di manifesti pubblicitari, neon, insegne o negozi e anche i posizionamenti si sono fatti sempre più interessanti.
Come per tutti i metodi l’importante non è semplicemente inserire un cartello, ma far sì che lo spettatore lo trovi interessante, che lo ricordi.
Per far questo sono stati utilizzati praticamente tutti i mezzi: dalle gambe di Marilyn che facevano capolino dal cartellone della Ford in “Il magnifico scherzo” (Howard Hawks, Usa, 1952), alle dichiarazioni d’amore di John Leguziano in “A Wong Foo, grazie di tutto” (Beeban Kidron, Usa, 1994), all’ossessione provocata da un cartello pubblicitario di Fernet Branca in “Bella, ricca, lieve difetto fisico cerca anima gemella” (Nando Cicero, Italia, 1973) fino ai cartelloni digitali futuristici di “Minority Report” che chiamano il protagonista per nome.
Un secondo metodo, molto utilizzato, è quello di parlare del prodotto in maniera più o meno esplicita, sia richiedendolo semplicemente, sia mettendo in risalto le sue caratteristiche, sia facendolo diventare protagonista della storia oppure citandolo in qualche battuta.
Nel primo caso vengono compresi gli esempi classici: il protagonista richiede il prodotto (“L’aperitivo lo pago io …. Due Cynar!“, battuta di Vittorio Gassman verso Jean Louis Trintignant in “Il sorpasso”); oppure lo offre a uno dei protagonisti (“Vuoi un Jack Daniel’s?” come chiede Michael Douglas a Sharon Stone in “Basic Instinct”; ) o lo cita in una situazione qualunque (“Staresti benissimo con un Armani” come fa Mel Gibson in “What Women Want”).
Questi sono ovviamente i casi base, i più facili da inserire (in ogni film un protagonista può aver bisogno di un oggetto o di bere qualcosa), i più immediati, ma anche (a parte casi particolari) i più scontati per lo spettatore. Far citare il prodotto da uno dei protagonisti, o esaltarne le caratteristiche, è stato un sistema utilizzato fin dal principio e raggiunse la massima diffusione con i film degli anni Settanta.
Il suo impiego è arrivato a livelli tali che in “The Retum of the Killers Tomatoes” George Clooney sembra farne una parodia nella scena dell’inseguimento con la sua Honda 850 dove, prima di correre, ne spiega tutti gli aspetti tecnici.
Nel corso degli anni questa tecnica ha subito una profonda evoluzione: le qualità dei prodotti vengono citate implicitamente nel discorso, come fa Catherine Zeta Jones in “Hunting, Presenze” laddove si vanta della sua classe dicendo che gli stivali di Prada devono essere comprati a Milano o a New York. O come succede in “Ronin” dove per l’operazione viene chiesta da De Niro a Jean Reno “un’auto veloce e che sappia resistere agli urti come l’Audi S8. Chris Tucker in “Colpo grosso al Drago Rosso” sottolinea la sensualità di Rosaline Sanchez citando a memoria la pagina del catalogo di Victoria’s Secret descrivendo la biancheria intima che indossa il personaggio.
Un’altra idea che viene sfruttata è l’inserire il nome del prodotto all’interno di una battuta divertente o di citarne il marchio con un doppio senso o in una situazione già nota allo spettatore, come può essere uno slogan pubblicitario.
A volte si arriva persino a non citare il prodotto o il marchio, ma a fare riferimento a situazioni/tormentoni testimonial presenti in campagne pubblicitarie. Questo tipo di posizionamento (che utilizza il cross media promotion) funziona naturalmente solo per determinati prodotti e nelle nazioni nelle quali è stato trasmesso il determinato spot di riferimento.
Pur essendo molto efficace il product placement che sfrutta il cross media promotion, lo svantaggio principale consiste nell’essere vincolato a un certo periodo di tempo, legato al periodo di trasmissione della campagna pubblicitaria e al suo successivo periodo di ricordo.
L’ultimo tipo di posizionamento è il più importante: far utilizzare il prodotto ai protagonisti. Il suo uso può essere canonico, come una birra bevuta o un’auto guidata, o improprio, come il cellulare SonyEricsson di James Bond che gli salva la vita o il camion della Carlsberg che dà “un passaggio all’Uomo Ragno” durante il suo primo inseguimento per le strade di New York.
Vista la rilevanza di questo tecnica pubblicitaria, le agenzie specializzate incaricate dalle Aziende studiano i modi migliori per far presa sul pubblico cercando di intervenire, in quella misura che viene consentita, sulla trama in alcuni casi in stretta cooperazione con gli sceneggiatori.
Per trovare i posizionamenti più efficaci, l’azienda deve considerare alcune variabili, a seconda del risultato che vuole ottenere.
Come le Marche diventano protagoniste
L’utilizzo di una marca o un di prodotto può raggiungere l’apice quando questi diventano protagonisti assoluti, indispensabili per l’attore principale o addirittura determinanti per l’intera trama.
Questa pratica comincia all’incirca negli anni Sessanta come ad esempio con il film “Colazione da Tiffany”: la trama si sviluppa con la protagonista che passa tutte le mattine davanti all’omonima gioielleria in New York.
In “Uno, due, tre” James Cagney è il direttore della filiale della Coca Cola in una brillante satira diretta da Wilder ed ambientata Berlino Ovest.
Un prodotto di marca diventa addirittura culto e star incontrastata di alcune pellicole come succede in “Herbie, il maggiolino tutto matto” che viene considerata come la più importante campagna attuata da Volkswagen per promuovere la sua utilitaria.
Le best practice si susseguono affinandosi nella loro tecnica fino ad importanti posizionamenti come Fedex in Cast Away o Mini Morris in “The Italian Job”.
Far diventare una marca elemento centrale di un film è una delle cose più difficili e nello stesso tempo più entusiasmanti per una Azienda che vuole impiegare questa tecnica pubblicitaria.
Il brand deve riuscire a far trasparire tutte le sue caratteristiche ma, contemporaneamente, deve entrare in sintonia con lo stile della storia per non “infastidire” lo spettatore.
Il pubblico deve seguire la storia, accorgendosi del prodotto sponsor, essere cosciente che sia uno sponsor e rimanerne appagato e non infastidito.
Tutto questo può essere ottenuto solo con la perfetta interazione fra Azienda/Marca, casa di produzione e consulenti di product placement, ciò presuppone che si evidenzino gli estremi per poter intervenire sulla sceneggiatura, che deve entrare in perfetta comunione con il prodotto che si vuole pubblicizzare. Negli Stati Uniti dove il product placement rappresenta una componente rilevante nel reperimento di fondi per una produzione di un film, le scuole di scrittura creativa addestrano gli sceneggiatori a “pensare creativamente“ anche in funzione di eventuali prodotti o servizi che potranno essere pubblicizzati, a prescindere dalla Azienda/Marca che vorrà aderire al progetto.
I seguenti elementi, sono i fattori che vengono presi in considerazione per l’analisi di una operazione di product placement
Successo del film
Il successo di un prodotto cinematografico, audiovisivo o di un videogioco, non è mai calcolabile a priori. Per fare delle valutazioni è necessario basarsi su dei precedenti.
Esso, inoltre, va calcolato non solo sul potenziale buon risultato di botteghino, ma anche sul potenziale esito raggiungibile in tutte le successive fasi di distribuzione. Un film dopo la distribuzione nelle sale, viene distribuito in dvd, poi in pay-per-view, fino ad essere replicato nel corso degli anni n-volte sulle reti generaliste.
In maniera, paradossale, la pirateria e il circuito di scambio su Internet viene preso in considerazione dall’Azienda sponsor nel calcolo quantitativo delle persone che andranno in contatto con il prodotto che promuovono attraverso il loro contributo alla produzione.
Corrispondenza tra il film e il target di riferimento
Il primo scopo di un’azienda che si avvicina al product placement è quello di raggiungere quantomeno il proprio target e, quindi, posizionarsi in film destinati a raggiungere lo stesso pubblico/obiettivo.
Un esempio classico è quello de “L’uomo che sussurrava ai cavalli” nel quale per alcuni secondi si vede il sito Equisearch.com attraverso il quale la protagonista contatta Robert Redford.
I contatti dell’azienda salirono del 400% nel giro di pochissimo tempo. Un’azienda era riuscita a colpire il target degli appassionati di equitazione, che attraverso il film vennero a conoscenza del sito. Il risultato economico del film fu un successo in termini di biglietti venduti (quindi di spettatori), paradossalmente però, anche seil film fosse stato un fiasco e avesse attirato solo gli amanti di equitazione, Equisearch avrebbe ottenuto un risultato senza precedenti attuando il suo product placement.
Caratterizzazione del brand rispetto al target
Un’azienda può decidere di colpire anche target limitrofi o differenti da quelli abituali, apparendo in film a loro dedicati. È praticamente il discorso fatto precedentemente sulla Coca-Cola: qualunque film può essere adatto per posizionarla basta solo seguirne le regole. La biancheria intima di Victoria’s Secrets, ad esempio, si posiziona in film dedicati al suo target femminile facendo leva sul fatto di essere l’oggetto del desiderio di qualunque donna, ma si rivolge anche ai maschietti comparendo in film a loro dedicati, in cui vengono riprese bellissime modelle, che indossano quella biancheria.
Visibilità della Marca
La visibilità della Marca è uno dei parametri più discussi. La Marca deve essere visibile e riconoscibile, ma un’eccessiva esposizione non motivata potrebbe risultare dannosa. Bisogna anche in questo caso studiare caso per caso.
Per meglio comprendere questo fattore, prendiamo in esame due film abbastanza recenti: Cast Away e Minority Report.
In Cast Away la comparsa della marca Fedex entra in scena per moltissimo sia all’inizio che alla fine del film. Nel secondo la Guinness compare per meno di due secondi ma, essendo una scena spettacolare ad alto coinvolgimento emotivo, la sua visibilità è massima.
Quando si analizza la visibilità bisogna tener presenti le seguenti variabili: brand identity e importanza del marchio, immagine visiva dei prodotto/marca, tipologia di posizionamento (apparizione, uso, citazione, comparazione), modalità di posizionamento (statico/dinamico, ripetuto/unico, con citazione/senza citazione), tempificazione del posizionamento (durata, momento di inserimento in sceneggiatura), grado di integrazione del posizionamento con la storia e i personaggi e, infine, la sua credibilità.
Posizionamento del brand
La visibilità del brand dipende ovviamente dai tipo di posizionamento utilizzato che può anche essere un semplice cartello, oppure l’utilizzazione del prodotto come oggetto di scena, il coinvolgimento della marca/prodotto nella storia, la citazione o il posizionamento di testimonial, ripresi ad esempio nella trasposizione in advertising utilizzando il cross media promotion.
Per la scelta del posizionamento è molto importante che l’azienda stabilisca il suo livello di coinvolgimento nel film analizzando anche l’interazione tra prodotto, storia e protagonista.
Interazione tra prodotto e storia
Il product placement diventa tanto più importante quanto più interagisce con la storia.
Come in “Uno, due, tre” di Billy Wilder dove James Cagney è il direttore della Coca-Cola Germania e risolve tutti i suoi problemi che ha con la figlia che si innamora di un “comunista ortodosso” tedesco della Germania est e che riesce a convertire al “capitalismo” con l’aiuto della famosa bibita.
Interazione tra prodotto e protagonista
I prodotto può semplicemente essere utile al protagonista senza per questo influenzare le vicende della storia, oppure diventare parte integrante della narrazione. Si va dai classici prodotti utilizzati nei film come oggetti di scena a pellicole come “Parla con lei” di Pedro Almodòvar, nel quale il protagonista lavora per il quotidiano EI Pais. Il quotidiano spagnolo, pur essendo ricordato più volte, è ininfluente ai fini del racconto.
In Cast Away, invece, le genialità degli sceneggiatori del film (che si sono ispirati, adattandola, alla storia di Robinson Crusuoè) consacra un prodotto oggetto di una attività di product placement a coprotagonista di un film. L’amico di Robinson Crusoe, Venerdì, viene sostituito con Wilson, (un pallone appunto prodotto dalla Wilson produttore di articoli sportivi), con cui Tom Hanks recita lunghi monologhi per buona parte del film.
Analogie prodotto-protagonista
Le analogie prodotto-protagonista sono quelle che maggiormente fanno avvicinare il product placement alla publicity. L’esempio classico riportato in letteratura è 007,James Bond, ma qualunque personaggio può costituire un buon testimonial, l’importante è la sua credibilità agli occhi del pubblico e le analogie con il prodotto. La marca interagisce con il personaggio definendo le sue caratteristiche e a sua volta il personaggio le trasferisce sul prodotto
Coinvolgimento emotivo dello spettatore
Come visto il principale vantaggio del product placement rispetto ad altri strumenti di comunicazione promozionale è quello di giocare sull’attenzione attiva dello spettatore. Un’Azienda può, pertanto, posizionare un prodotto cercando di coinvolgere emotivamente lo spettatore.
La scena in cui Wilson viene portato via dalle onde è sicuramente la più commovente di Cast Away, nella quale lo spettatore si commuove per un pallone da pallavolo. L’aver fatto diventare una marca il migliore amico del protagonista di un film è stata una delle operazioni di product placement che farà scuola.
Sono in fase di sperimentazione attività di product placement in grado di incrementare il coinvolgimento emotivo dello spettatore allo scopo di rafforzare l’attenzione attiva dello spettatore. Alcune di queste sperimentazioni, ad esempio, tendono a coniugare diversi aspetti della comunicazione di marketing, come il cosiddetto “marketing tribale [3]” e il “marketing virale [4]”.
Rafforzamento immagine-prodotto
L’ultimo parametro riguarda il rafforzamento dell’immagine del prodotto.
L’Azienda può decidere di apparire al meglio associando un suo prodotto a un determinato stile di vita oppure facendo compiere ai suoi prodotti prestazioni eccezionali.
Come può succedere di solito con le automobili di James Bond (in uno degli ultimi film, per la prima volta, anche con quelle del suo nemico, dal momento che Aston Martin e Jaguar sono entrambe marche della Ford), sia rafforzando una sua particolare caratteristica.
O come traspare ancora una volta in Cast Away, in cui l’appartenenza e la sua fedeltà ai gruppo Fedex da parte di Tom Hanks, e di conseguenza l’affidabilità dell’azienda, viene dimostrata dal fatto che, nonostante tutte le sue disavventure, il naufrago sopravvive per portare a termine la consegna del pacco che gli era stato affidato.
Sintesi
In linea generale, si parla di product placement tutte le volte che un prodotto o un brand appare all’interno di una qualche forma di spettacolo ed è legato allo sviluppo della sua trama o della sceneggiatura. Risultano pertanto esclusi gli inserimenti pubblicitari, le promozioni, le sponsorizzazioni, ecc.
Le modalità di inserimento sono sostanzialmente tre:
- visuale (screen placement);
- verbale (script placement);
- integrato (plot placement).
Il prodotto può essere rappresentato visivamente (screen) in primo piano, pienamente visibile dallo spettatore e in tal caso garantisce la massima esposizione della marca.
Oppure può essere inserito sullo sfondo, sia in interni che in esterni, come parte della scenografia.
Nel secondo caso è evidente che è più difficile riconoscere il prodotto, ma a ciò si ovvia in genere con l’elevata frequenza o con la lunghezza del periodo di esposizione. Inoltre, nell’ambito dell’intero programma, è possibile combinare diverse modalità di inserimento, per ottenere effetti più o meno intensi sullo spettatore.
La seconda dimensione dell’inserimento è quella verbale (script): meno frequente e meno evidente di quella visiva, la modalità verbale consiste nel far parlare del prodotto dai personaggi del programma o del film. Anche in questa modalità sono possibili diversi livelli di esposizione: il prodotto può essere l’oggetto di una discussione tra i protagonisti o uno scampolo casuale di conversazione tra due passanti o, ancora, un break pubblicitario di una trasmissione radiofonica inserita nella scena. Anche in questo caso sono possibili ripetizioni per aumentare il livello di esposizione.
Gli inserimenti puramente verbali sono relativamente rari; più spesso sono associati a un’inquadratura del prodotto per aumentarne l’efficacia. L’inserimento integrato consiste nel costruire la sceneggiatura (il plot) in modo tale da attribuire al prodotto un ruolo sostanziale nello sviluppo della storia.
L’inserimento dei prodotti nei film risponde a obiettivi e logiche di due distinte categorie di soggetti: i produttori e gli inserzionisti. Dal punto di vista della produzione cinematografica, è necessario considerare anzitutto l’aspetto economico-finanziario: attraverso i contratti di product placement è possibile finanziare la produzione e, al contempo, anticipare flussi di entrate che altrimenti si manifesterebbero solo momento dell’uscita del film. Inoltre, i contratti di product placement prevedono speciali clausole relative alla promozione del film e del prodotto: l’inserzionista, in occasione dell’uscita del film, realizza campagne di comunicazione sul proprio prodotto che richiamano direttamente il film e i suoi personaggi. Al di là dell’aspetto economico, in questi casi si realizza un’efficace sinergia tra modalità e canali di comunicazione diversi.
Teoricamente parlando, l’inserimento dei prodotti nei film può avere effetti positivi su notorietà e atteggiamento in relazione ai seguenti elementi:
- attribuzione: rispetto all’impiego di testimonial nella pubblicità tradizionale, il product placement può risultare più efficace in quanto non presuppone un rapporto economico diretto tra l’attore e l’inserzionista. Ciò vale, naturalmente se lo spettatore non attribuisce al film nel suo complesso una valenza eccessivamente commerciale;
- condizionamento classico: l’associazione di un divo del grande schermo al prodotto genera il trasferimento di reazioni affettive dal primo al secondo, come nei casi tradizionali di endorsement;
- imitazione: il comportamento del consumatore è spesso condizionato dall’imitazione del comportamento altrui, talvolta anche di personaggi della letteratura e del cinema. Uno stile di vita e, ad esempio, di abbigliamento può essere promosso abbinandolo a un personaggio cinematografico;
- trasformazione: sviluppato nel campo della pubblicità, questo concetto si presta a spiegare anche l’efficacia del product placement. L’esperienza d’uso porta con sé il ricordo di altre esperienze avute con il prodotto, come – appunto – l’averlo visto inserito in un film.
Quanto più tali esperienze sono risultate piacevoli, tanto più lo sarà quella di utilizzo del prodotto.
I vantaggi e i limiti del Product Placement
Qui di seguito vengono sintetizzati i vantaggi e i limiti del Product Placement
Vantaggi
- Effetto enfasi’ - La presentazione di prodotti e marche all’interno delle pellicole cinematografiche avviene con l’intento di riprodurre un ambiente reale, nel quale prodotti e marche trovano una normale collocazione ed utilizzo. In questo senso, il product placement consente di attribuire alla pellicola connotati di aderenza alla realtà, senza interrompere il naturale svolgimento della scena, anzi valorizzandola ed arricchendola di elementi. Il product placement può quindi integrarsi perfettamente in un film ed essere naturalmente accettato dal pubblico, anche quando nella pellicola sia prevista un’enfasi specifica sul prodotto o sulla marca, come si verifica, ad esempio, nel caso di una esposizione particolarmente ostentata o di fronte ad un uso non convenzionale del prodotto. L’effetto enfasi poggia quindi sulla naturale accettazione della presenza del prodotto/marca nella pellicola e si sviluppa mediante adeguati artifici che consentono di concentrare l’attenzione dello spettatore sul prodotto/marca, senza distogliere il suo interesse dalla scena e dall’azione del film.
- Presentazione ‘pianificata’ di prodotti e marche - La collocazione di marche e prodotti all’interno delle pellicole permette una ambientazione naturale per i prodotti che sono presentati in situazioni concrete di utilizzo, convenzionale o non convenzionale. Il filmato cinematografico consente infatti l’utilizzo di colore, movimento e suono, e permette di presentare prodotti e marche in modo ‘ottimale’, spesso con tempi e qualità di esposizione non eguagliabili da altri strumenti di comunicazione.
- Interesse attivo dell’audience - Il product placement si caratterizza per operare sull’interesse attivo dell’audience e per la possibilità di sfruttare il coinvolgimento emotivo del pubblico esposto alla comunicazione. L’attenzione con cui le persone seguono lo sviluppo delle scene di un film ed il coinvolgimento emotivo che le rende partecipi dell’azione e del clima ricostruiti, sono del tutto irripetibili con altri strumenti di comunicazione aziendale.
- Livello predeterminato di affollamento - Una ulteriore caratteristica del product placement è riferita alla predeterminabilità dell’affollamento di prodotti e marche presenti nella pellicola cinematografica, cioè nel supporto che veicola la comunicazione aziendale. Un elevato affollamento comporta tipicamente una minore visibilità delle comunicazioni aziendali veicolate, quindi una minore efficacia dello strumento di comunicazione attivato. Nel product placement l’affollamento è solitamente contenuto e trova il primo limite nel film stesso. Il successo di una pellicola, con i ricavi che ne derivano, è infatti subordinato all’apprezzamento di pubblico e critica, e le case di produzione cinematografica devono quindi limitare il product placement all’interno dei film. L’affollamento trova allora un vincolo naturale nella capacità del pubblico di accettare la presenza delle marche nelle scene: il ‘placement’ non deve essere percepito come interruzione, ma deve essere accolto come elemento che valorizzi lo sviluppo dell’azione. Tale soglia, evidentemente, è estremamente variabile e dipende in grande misura dal profilo del pubblico target.
- Elevata segmentazione dell’audience - Il product placement consente inoltre una segmentazione tipologica del pubblico che raggiunge. Ciascuna pellicola cinematografica si caratterizza infatti per una propria identità, di norma evidente anche nei trailer promozionali, finalizzata ad attrarre specifiche fasce di pubblico. In questo modo, il product placement dispone di un supporto ‘molto segmentante’, idoneo a veicolare la comunicazione aziendale a pubblici specifici e ben delineati nel loro profilo distintivo.
- Presentazione di categorie di prodotto con vincoli e limiti di pubblicità - Con il product placement è possibile presentare categorie di prodotto bandite dalla comunicazione pubblicitaria. Alla finzione cinematografica è, in questo senso, concesso un più ampio margine di libertà rispetto a quanto non possa essere ammesso per la comunicazione aziendale di tipo tradizionale, come quella pubblicitaria.
- Gradualità di investimento - Infine, il product placement permette di essere utilizzato con investimenti graduali, che ne rendono molto flessibile l’uso. In particolare, il product placement è più flessibile della pubblicità che, operando sulla base della frequenza e della ripetizione del messaggio, impone soglie minime di investimento, comunque rilevanti e dipendenti dall’attività competitiva dello specifico settore.
(i limiti qui sotto esposti si rifanno ad esperienze per lo più osservate per attività di PP inserite in feature film distribuiti nelle sale cinematografiche)
- Tempi e modi di fruizione derivanti dal prodotto cinematografico - La gradualità dell’investimento, aspetto certamente vantaggioso per l’utilizzo dello strumento, si contrappone all’impossibilità di ripetizione del messaggio che rappresenta uno specifico limite del product placement come strumento di comunicazione aziendale.
- Frequenza e ripetizione del messaggio, indispensabili in pubblicità per contrastare l’attenzione passiva dell’audience e per ritardare la naturale caduta del ricordo, sono invece caratteri preclusi al product placement che, di norma, permette di raggiungere il segmento target una unica volta.
Con riguardo ai tempi ed ai modi di fruizione del prodotto cinematografico, bisogna ricordare come il successo e la diffusione di una pellicola siano tipicamente non programmabili a priori. In tal senso, accanto a film ad elevata diffusione e notorietà a livello nazionale ed internazionale, si affiancano pellicole di scarso successo. Anche noti registi e attori, sostenuti spesso da consistenti investimenti pubblicitari, possono dare vita a film poco apprezzati, per i quali la vita utile si limita al passaggio per poche serate in un ridotto numero di sale cinematografiche.
Il ‘placement’, associandosi ai film, ne ‘subisce’ in tal modo il successo o l’insuccesso. Nel primo caso, può quindi trovare diffusione a livello nazionale ed internazionale oltre che sui circuiti televisivi e di home video, talvolta anche con opportunità di ripetizione della visione da parte dei medesimi soggetti. Nel secondo caso, quando invece il film è un insuccesso, anche il ‘placement’ che vi trova spazio resta esposto alla visione di pochi ‘pionieri’ e difficilmente accede ad ulteriori canali di diffusione.
- Completa programmabilità delle scene - Il product placement consente una programmazione molto dettagliata delle scene in cui compare il prodotto/marca, garantendo alle imprese promotrici la corretta veicolazione dell’identità dell’offerta aziendale. Tuttavia, gli effetti del ‘placement’ sulla conoscenza di marca non sono programmabili in alcun modo, in quanto dipendono dall’apprezzamento del pubblico che risulta influenzato da un ampio numero di fattori, in prevalenza non controllabili dall’azienda promotrice (il gradimento del film, le percezioni associate al ‘placement’ dell’offerta o della marca aziendale, la comunicazione promozionale di supporto alla diffusione della pellicola, i giudizi della critica, ecc.)
Note
[1] Informazioni estratte da varie fonti; fonte principale: “Occulta sarà tua sorella” di G. Corti, (2004) ed. Castelvecchi
[2] Risulta evidente come non sia facile sviluppare in uno spot pubblicitario convenzionale della durata di circa 30 secondi un contenuto narrativo originale in grado di risvegliare l’attenzione dell’audience.
[3] Il marketing tribale http://www.alleanzaribelle.org/1/post/2008/05/marketing-tribale.html
[4] Il marketing virale http://www.alleanzaribelle.org/1/post/2008/05/marketing-virale.html
Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia della Psiche
di F. Bottaccioli (**)
L'approccio PNEI consente, a mio avviso, di soffiar via, come un vento (πѵέɩ è la terza persona singolare del verbo greco πvɛῖѵ, che significa “soffiare” !), le tentazioni riduzioniste verso la biologia o verso l'informatica, rintracciando le solide radici biologiche della psiche e, al tempo stesso, comprendendone e valorizzandone il livello specifico. E’ indubbio che l'attività psichica emerga dal cervello. |
Almeno la mente che conosciamo, quella che, attualmente, è possibile sottoporre a indagine scientifica, ha questo vincolo biologico: senza cervello, cioè, non si dà attività mentale. Ci sono persone a me vicine, le cui opinioni tengo in gran conto, e altre che godono della mia più sincera stima e, immagino, anche qualche lettore, che la pensano diversamente. Ritengono che ci sia una forma di attività mentale, che, per esempio, una certa tradizione buddhista chiama `mente sottile' o `mente innata', che sfugga a questo vincolo.
Secondo questo approccio, la scienza dovrebbe uscire dal paradigma del cervello quale fondamento biologico della mente e studiare fenomeni, per esempio post mortem, che segnalerebbero un'indipendenza della mente dal cervello. Comunque sia, anche un capo religioso come l'attuale Dalai Lama ammette che, al di là degli ‘stati sottili’, del resto non usuali, la normale attività della mente poggia su fondamenti neuronali. |
C'e quindi una relazione indubitabile tra cervello e mente. Tradizionalmente, la difficoltà ad accettare questa relazione è legata all'idea che l'emergenza di uno stato mentale, giudicato immateriale, non possa provenire da un substrato biologico, cioè materiale per antonomasia.
Questa difficolta si fonda sulla logica occidentale antica, la stessa che Cartesio, il grande critico della logica aristotelico-scolastica, ha messo in discussione, ma non in modo davvero radicale.
Difficoltà che può essere riassunta in queste domande: come è possibile che da un fenomeno ne emerga un altro con caratteristiche fortemente dissimili?
Questa difficolta si fonda sulla logica occidentale antica, la stessa che Cartesio, il grande critico della logica aristotelico-scolastica, ha messo in discussione, ma non in modo davvero radicale.
Difficoltà che può essere riassunta in queste domande: come è possibile che da un fenomeno ne emerga un altro con caratteristiche fortemente dissimili?
Come è possibile che dall'attività di un organo materiale (il cervello) possa emergere un'attività che appare immateriale (la psiche)?
Per Ia tradizione aristotelica e anche per il ragionamento cartesiano la causa di un fenomeno «deve contenere almeno tanta realtà quanta ce n'è nel suo effetto».
C'è quindi una relazione quantitativa e qualitativa tra la causa e il suo effetto, il quale deve comunque contenere almeno alcune delle Caratteristiche della causa che l'ha generato.
Per Ia tradizione aristotelica e anche per il ragionamento cartesiano la causa di un fenomeno «deve contenere almeno tanta realtà quanta ce n'è nel suo effetto».
C'è quindi una relazione quantitativa e qualitativa tra la causa e il suo effetto, il quale deve comunque contenere almeno alcune delle Caratteristiche della causa che l'ha generato.
Poi Cartesio stesso si accorge che è una logica traballante in quanto, sviluppando il suo ragionamento, nelle Meditazioni metafisiche (quarta meditazione), si chiede: «Come è possibile che Dio, un essere perfetto, abbia potuto generate un essere imperfetto?» E quindi da una causa assolutamente spirituale e perfettissima possa derivare un effetto che e un composto di anima e corpo e per giunta cosi imperfetto?
«I fini di Dio non sono conoscibili», risponde il filosofo, buttando Ia palla fuori dal campo, dal campo della logica, voglio dire!
Invece, negli ultimi cinquant'anni è diventato chiaro che modificazioni che intervengono in un livello possono far emergere realtà, le cui caratteristiche non sono contenute nel livello da cui sono emerse.
«I fini di Dio non sono conoscibili», risponde il filosofo, buttando Ia palla fuori dal campo, dal campo della logica, voglio dire!
Invece, negli ultimi cinquant'anni è diventato chiaro che modificazioni che intervengono in un livello possono far emergere realtà, le cui caratteristiche non sono contenute nel livello da cui sono emerse.
E il principio della complessità. Su questo Lurija, Varela e Bateson forniscono chiavi interpretative molto convincenti, che non riprendo. I meccanismi con cui dalle reti neuronali emerge attività psichica, mi pare possano trovare risposte altrettanto convincenti nel modello proposto da Edelman, con il ruolo chiave svolto dalle connessioni rientranti e dai meccanismi di selezione neurale. |
Il livello psichico, però, non è un semplice epifenomeno, ha una sua potente articolazione strutturale, complessità, relativa autonomia e capacità di azione sul livello nervoso nonchè sugli altri grandi sistemi di regolazione fisiologica, come vedremo in dettaglio … Le vie tramite cui il livello psichico influenza gli altri livelli sono raggruppate nel sistema dello stress, con le sue correlazioni neuroendocrine, nervose e immunitarie, e nel sistema nervoso centrale e periferico.
Le modalità con cui opera il livello psichico sono, con tutta probabilità, centrate sulle immagini.
Come propone Bateson, I'immagine è forse il modo più economico che il cervello dei mammiferi ha per far passare rapidamente informazioni tramite varie interfaccia cerebrali.
Nell'immagine c'è un'informazione sintetica capace di attivare vari circuiti, ma in modo particolare i circuiti che collegano il sistema limbico (amigdala, ippocampo e ipotalamo) con le aree corticali elaborative ed esecutive. La decodificazione dell'immagine chiama in causa, come vedremo meglio (…), il ruolo centrale della memoria, che fornisce all'animale e quindi anche a noi la possibilità di paragonare la rappresentazione mentale ad altre già codificate, che fanno parte delle memoria autobiografica
Come propone Bateson, I'immagine è forse il modo più economico che il cervello dei mammiferi ha per far passare rapidamente informazioni tramite varie interfaccia cerebrali.
Nell'immagine c'è un'informazione sintetica capace di attivare vari circuiti, ma in modo particolare i circuiti che collegano il sistema limbico (amigdala, ippocampo e ipotalamo) con le aree corticali elaborative ed esecutive. La decodificazione dell'immagine chiama in causa, come vedremo meglio (…), il ruolo centrale della memoria, che fornisce all'animale e quindi anche a noi la possibilità di paragonare la rappresentazione mentale ad altre già codificate, che fanno parte delle memoria autobiografica
Questo paragone avviene in un lampo e non utilizza vie logico-razionali, ma in prima lettura, una modalità Gestalt e in particolare e in particolare quegli elementi che Bates chiama “segnacontesto”, i tratti distintivi di un contesto, di una situazione nota, nella quale ci siamo comportati in un certo modo. Le immagini che attivano modelli interpretativi e di comportamento sono strettamente personali, hanno i nostri colori, il nostro odore, il nostro calore, come dice James.
Vengono costruite dando il nostro segno al vasto materiale proveniente dal contesto storico evolutivo, sociale e interpersonale. Il livello psichico è influenzato non solo dal sistema nervoso centrale, ma anche dagli altri sistemi, che reagiscono a stimoli ambientali e a comportamenti individuali. … La psiche può essere influenzata dall’alimentazione, dall’attività fisica, dall’attività del sistema immunitario. La psiche nella sue dimensioni inconscia, emozionale e cosciente, è il frutto dell’evoluzione che si realizza tramite il un contesto umano, che è sociale, culturale, e storicamente determinato, e che interagisce con contesti naturali più ampi. In questo senso come ha giustamente notato Lurija , non è possibile ridurre l’evoluzione della psiche umana all’evoluzione del cervello.
Occorre invece inquadrare il formidabile contributo che la psiche umana, tramite la trasmissione culturale intergenerazionale, ha fornito all’evoluzione del cervello e dell’organismo umano nl suo insieme. La coscienza quindi, a differenza proposto dal modello freudiano, non dovrebbe avere come obiettivo la bonifica della natura interna, e cioè l’omologazione dei “territori selvaggi” dell’ES alla Ragione, bensì la comprensione della complessità dell'Uomo e dei contesti in cui opera.
Riconoscimento della complessità propria e altrui, della mente altrui in senso batesoniano, vuol dire ispirare e costruire una scienza non riduzionista, non prepotente verso di sè e verso gli altri sistemi; vuol dire ispirare comportamenti basati sulla compassione verso il mondo che è in noi ( archetipi collettivi) e verso il mondo fuori di noi; vuol dire quindi favorire l’emergere di persone capaci di non rimanere prigioniere dei contesti , ma di essere “trans-contestuali”, senza divenire disadattate, bensì flessibili, creative e, al tempo stesso, socialmente integrate perché perseguono fini collettivi e sociali.
Riconoscimento della complessità propria e altrui, della mente altrui in senso batesoniano, vuol dire ispirare e costruire una scienza non riduzionista, non prepotente verso di sè e verso gli altri sistemi; vuol dire ispirare comportamenti basati sulla compassione verso il mondo che è in noi ( archetipi collettivi) e verso il mondo fuori di noi; vuol dire quindi favorire l’emergere di persone capaci di non rimanere prigioniere dei contesti , ma di essere “trans-contestuali”, senza divenire disadattate, bensì flessibili, creative e, al tempo stesso, socialmente integrate perché perseguono fini collettivi e sociali.
(*) Francesco Bottaccioli è fondatore e presidente onorario della Società Italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, associazione scientifica che raggruppa studiosi di diversa estrazione che approcciano la tematica con una metodologia inter-multidisciplinare. Dirige la SIMAISS Scuola di medicina Integrata. Insegna PsicoNeuroEndocrinoImmunologia in corsi universitari di specializzazione post-laurea.
(**) Tratto da F. Bottaccioli, (1995-2005) "PsicoNeuroEndocrinoImmunologia: i fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata", 170-172 (Ed. RED).
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